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domenica 15 giugno 2014

Pasolini aveva trent'anni

Pasolini aveva aveva su per giù trent'anni quando trovò posto come insegnante in una scuola media paritaria di Ciampino. All'epoca quella che è ormai ufficialmente e da qualche anno una città, era un borghetto campagnolo lontano più di mezz'ora di treno dalla stazione Termini. Era la terra coltivata di Marino, più qualche casa, gli sfollati, qualche lavoratore dell'aeroporto militare.

Io ho trent'anni, da qualche mese e oggi, nel secondo giorno dalla chiusura del mio primo incarico in un centro per la formazione professionale del comune di Roma. 
Una scuola di Ostia, Ostia dove Pasolini ha portato qualche volta in gita i suoi studenti ciampinesi, Ostia dove Pier Paolo si è spento.

Per questo e per altri motivi sto in questo periodo riscoprendo Ciampino, luogo dove sono cresciuta, e Pasolini, figura di intellettuale insolito, che ho sempre tenuto alla larga da me, per timore reverenziale, per pigrizia, per non so cos'altro.

In questi mesi mi sono sentita così vicina a lui, a lui giovane, insegnante, squattrinato. A lui che cercava di trasmettere ai suoi studenti l'amore per la poesia e uno sguardo diverso sulla realtà.

Non ce l'ho fatta a fare nulla di tutto questo, perché non ho avuto il tempo, perché non né ho la capacità, perché non ho neanche questo incontenibile amore per i versi. Io preferisco la letteratura e la storia. E il tempo, per farmi apprezzare.

Qualche giorno fa leggevo alcuni temi delle mie studentesse, in procinto di abilitarsi al mestiere di estetista. Gli ultimi temi, quelli per la valutazione di fine anno. I temi di chi ha già la licenza media, qualche esperienza fallimentare nella scuola statale, storie d'amore fallite, famiglie disastrate, tanta tv vista, quasi tutte l'età per votare.

Tra una correzione e l'altra mi informavo su Pasolini, sul suo modo di essere professore nell'Italia del dopoguerra. Il giovane friulano, ricordato da studenti e famiglie di Ciampino come educato, gentile, dolce, chiedeva ai suoi studenti di raccontare la realtà. Voleva distogliersi dai temi melodrammatici, inventati, tanto in voga nella scuola italiana dell'epoca. Gli unici accettati. Pasolini voleva invece leggere della loro vita, voleva che imparassero a guardare e raccontare la loro vita.

La lezione di Pasolini, ma anche quella di Don Milani, quella del '68 e di tutto il resto, non è arrivata a Piazzale Gasparri. Non è arrivata tra gli adolescenti che la scuola pubblica perde, senza neanche accorgersene, eppure così consapevolmente e colpevolmente. Gli scritti delle mie studentesse sono melodrammatici, romantici senza il sapore dei romanzi rosa, fantasiosi di una fantasia che si può facilmente "sgamare" perché semplicistica, senza appigli, con trame stranote. L'amica traditrice, il ragazzetto romantico, il calpestare sentimenti troppo astratti e manieristici.

Pasolini aveva trent'anni, io ho trent'anni. Ma io non sono Pasolini e questi trent'anni sono tutta un'altra cosa.Qui e adesso, anche per chi ne ha diciotto.

lunedì 2 giugno 2014

I miei nonni, tanti 2 giugno e la speranza.

Stamattina, al mio risveglio, ho pensato ai miei nonni.

Ho pensato a loro quattro che quel 2 giugno hanno fatto una scelta. Sono usciti di casa e sono andati a votare.

Tra loro quattro solo due sapevano leggere e scrivere e lo avevano imparato per puro caso. La mia nonna materna perché, rimasta orfana di padre dopo il terremoto di Avezzano del 1915, era stata affidata ad un ente di assistenza e lì, un collegio di suore, aveva frequentato le prime quattro classi elementari. Ci diceva sempre che era stata scelta dal benefattore per continuare la scuola e diventare maestra, ma poi il benefattore era morto e lei è tornata a casa, 12enne e pronta per imparare a tessere e a fare la moglie.

Il mio nonno materno, invece, aveva imparato da solo. Probabilmente sotto le armi, quando nel 1915 si era ritrovato ad avere proprio 18 anni. è ricordato da chi lo ha conosciuto come un uomo estremamente intelligente e ingegnoso. Il mio più grosso fantasioso rammarico è di non aver ereditato da lui null'altro che la lingua, almeno a quanto dicono.

Il mio nonno paterno ci era andato molto vicino e aveva frequentato qualche giorno di scuola. Ma il mio bisnonno, quando aveva visto che i giorni passavano e il piccolo non imparava a leggere e a scrivere aveva deciso di non mandarcelo più.

Del rapporto con la mia nonna materna e l'alfabetizzazione non so quasi nulla, ma quando penso ai miei studi, spesso penso proprio a lei. Li sto leggendo io tutti i libri che lei non ha potuto neanche toccare, impegnata a costruirci un futuro e a difenderci dalla ritirata tedesca in Ciociaria.

Ho pensato a loro, non per farne l'apologia. Ho pensato a loro e alla loro forza, alla loro speranza. A loro che nonostante tutto quel 2 giugno devono essere stati felici, almeno un po'.

E penso a me, seduta qui a pensare al futuro, con momenti di sconforto senza precedenti, quando tutto sembra crollarmi addosso e non so come agire.
E ripenso a loro, di nuovo a loro, che forse saprebbero spiegarmi come si fa a rialzarsi.

Buon 2 giugno di memoria e speranza a tutti.




mercoledì 2 aprile 2014

L'insostenibile pesantezza del freelance

Freelance è una parola bellissima, etimologicamente parlando. Pensate che pare sia stata coniata da Sir Walter Scott, parlando di cavalieri.

Ma la sostanza è altro ed essere freelance fa schifo, senza mezzi termini. Non fraintendete, io sono una sostenitrice della mobilità, sarebbe il mio sogno. A me piacerebbe molto zompettare da un lavoro ad un altro, da un ambiente ad un altro, da colleghi ad altri, tra attività varie tra loro ma tutte ugualmente stimolanti. La mia essenza è questa: vivere di diversità e pluralità, fare molte cose per non annoiarmi mai. Ma c'è modo e modo.

Se sei freelance qui e adesso, devi accettare tutto, 'che mica è detto che sei sempre freelance, per la maggior parte del tempo sei disoccupato. E così ti ritrovi in contesti e ambienti non sempre ameni, dove l'ultimo arrivato è accolto in modalità random, a seconda dei rumori e degli umori.

Di solito il freelance è quello più giovane, più titolato ma meno esperto (non nel lavoro, attenzione, ma meno esperto di quell'ambiente) che viene o sfruttato o ignorato. Ultimamente a me è capitata soprattutto la seconda situazione: non vengo convocata alle riunioni, non vengo chiamata per iniziare il corso del quale sono l'unica insegnante (sìsì, avete capito bene, gli studenti erano tutti in classe, pronti ad iniziare, ma nessuno aveva chiamato me!), non mi si dice nulla di come dovrei impostare il mio lavoro, mi si prende anche a male parole -poi- perché "noi credevamo fosse scontato". E certo, io posso immaginare quali siano i vostri usi e costumi (che cambiano di anno in anno) in modo telepatico o perché qualche divinità mi appare in sogno con l'obiettivo di spiegarmi tutto. Scusate tanto, ma io spero che le divinità mi interpellino per altro.

Essere freelance fa schifo, perché mentre hai ferie lunghissime non volute, in periodi orrendi e con le tasche vuote e bucate, ti ritrovi a non poter avere neanche un giorno per una gita fuori porta, neanche un giorno per andare a fare una visita medica, quando in teoria avresti quei quattro soldi per fare entrambe. Per non parlare poi delle altre tutele, del welfare, dei sostegni alla disoccupazione. Il freelance non ha nulla. E voi non sapete quanto mi piacerebbe avere l'assegno di disoccupazione, ma io ce l'ho scritto in fronte "lavoro occasionale". Quindi niente, basta, sono un mezzo evasore senza tutele.

Essere freelance fa schifo, perché devi sopravvivere al fianco di persone in odor di pensione, grasse, sedute e immobili, che si permettono anche di darti consigli su come portare avanti la tua vita e fare anche commenti. "Ma qualche supplenza nelle scuole pubbliche?", "Ma prova ad aprirti un'assicurazione sulla vita", "Non hai la macchina?!". No, non potete. Non potete perché non sapete niente di me, non potete perché è anche colpa vostra se io sto così e i vostri lipidi cerebrali continuano ancora a farmi solo del male.

Essere freelance a Roma è insostenibile, con o senza automobile. Unica nota positiva, sto leggendo romanzi su romanzi, sfruttando scioperi dei mezzi pubblici, ritardi dei treni e per cercare di non ascoltare il qualunquismo imperante delle chiacchiere altrui.

Essere freelance farebbe veramente schifo se non avessi un infinito amore per quello che faccio, se non avessi gli studenti (alcuni dei quali si preoccupano veramente e attivamente per me ed io non so come ringraziarli) e se non avessi ancora attacchi di entusiasmo e di ottimismo, come oggi - anche se non sembra.


mercoledì 27 novembre 2013

Berlusconi è decaduto!

Non posso esimermi dallo scrivere. Sento l'irrefrenabile voglia di far parte di tutta l'immondizia che si scrive e si dice in queste ore frenetiche, dopo vent'anni. Cavolo, dopo vent'anni. Sono cresciuta in mezzo a questa immondizia, mi sento parte di quell'immondizia, ma una parte che merita di finire nella differenziata per essere salvata.

A dire la verità, forse ci siamo già salvati da soli.
Forse siamo così forti, geneticamente immuni a tutto questo, resistenti per natura.
E abbiamo lottato, studiato, lavorato e non siamo diventati né falchetti né colombe, non ci siamo fatti imbambolare da nessun populismo, non abbiamo emulato i nostri predecessori che nei decenni precedenti hanno creduto all'abbondanza, senza scavare neanche un attimo.

Non siamo neanche finiti come molti dei nostri contemporanei, dei quali forse non so più che cosa dire. Che dire di chi orgogliosamente vota Berlusconi, non ha voluto diplomarsi, lavora per raccomandazione e fa la morale a noi, che ci arrampichiamo con le nostre sole forze, che ci sforziamo di non risultare né eccentrici né banali, ma solo onesti e normali?

Leggo molto, leggo di tutto. In questi giorni ho letto anche opinioni di una certa Selvaggia Lucarelli (ma chi è?), ho letto dichiarazioni dei 5stelle, ho interpretato per quanto mi è possibile interviste televisive che mi davano il voltastomaco.

Ebbene, Berlusconi è decaduto. Ma nessuno ha il coraggio di dire che gli italiani vanno a vedere Checco Zalone non perché vogliono passare semplicemente un pomeriggio di leggerezza. Nessuno riesce a farsi sentire quando cerca di spiegare che la sperimentazione animale non ha nulla a che vedere con le foto degli animali maltrattati. Nessuno, dico nessuno, insulta Carlo Conti e i suoi autori per il sessismo di alcune gag che propone nel suo programma pre-tg su Rai 1.

E sapete perché, penso io? Perché in questi Venti anni, con o senza Berlusconi (ma con Berlusconi di più) ci siamo appiattiti, ci siamo cullati sui nostri difetti più fastidiosi e li abbiamo coltivati. E così oggi vediamo Checco Zalone, perché forse non troveremmo nulla di divertente in un Woody Allen italiano, spariamo a zero contro i ricercatori che sono costretti ad emigrare (ma avremo tanti beagle felici, questo è certo - come se i ricercatori cattivi facessero ricerca sul vostro animale domestico, certo), e facciamo tutte le campagne del mondo contro la violenza sulle donne, ma ci farà sempre ridere la velina stupida che canta i Beatles come una cornacchia, mentre Carlo Conti ride. 

mercoledì 25 settembre 2013

Disoccup-Arty: le arti del riposo forzato.

Ci provo ad essere ottimista. Ma non è proprio nella natura delle cose.
Nella mia di natura sì, l'ottimismo, il sarcasmo e l'autoironia trovano spazio.
Ma nel buco nero davanti a me, che pure vedo infinito e di spazio ce ne sarebbe,  niente trova collocazione. Né le speranze, né le attese.

Mi sveglio, accendo il computer invio la mia dozzina di curricula quotidiani.
Do un'occhiata alle vecchie candidature.
Sistemo il  cv, il profilo linkedin e perfino quello di facebook.
Mi metto a lavorare su due saggi che sto preparando. Che si sa, bisogna accumulare pubblicazioni.
Aspetto risposte a progetti, a richieste di informazioni, a candidature inviate.
Guardo continuamente il cellulare.
Controllo le email. Ma mi vogliono solo vendere qualcosa o truffarmi.
Leggo i commenti degli altri sui social network. Arrivo ad odiarli e invidiarli.
Mi informo, penso all'accanimento giudiziario.

Poi mi viene voglia di uscire . Avrei voglia di fare foto, ma non scatto da quando ero a New York.
Avrei voglia di scrivere. Ma, come adesso, riesco ad essere solo troppo lamentosa.
Penso a chi sta meglio. Non mi passa neanche per la testa che qualcuno potrebbe stare peggio.
Potrei perdere di vista la realtà, mentre ho già perso la gioia per certe piccole cose.
Il mare, le montagne, gli alberi, i parchi di Roma. Il sushi, il vento, un buon libro.



domenica 7 luglio 2013

Sensazioni di un venerdì in Moschea

La cosa più importante è l'intenzione. Questa è una delle cose, tra le altre, che ho imparato dall'Islam. Tra le tante altre cose che ho imparato dal Cristianesimo. Non posso essere ipocrita, non posso generalizzare. Non solo sono fermamente convinta che non tutti i preti siano pedofili e non tutti i musulmani terroristi, ma sono sicura che il discorso sia molto più sfaccettato e la politica, le strumentalizzazioni e gli errori dell'uomo, le contingenze storiche e i lavaggi del cervello siano un discorso altro rispetto a un essere umano che prega, a un essere umano che con le migliori intenzioni parla di fratellanza, onestà, purezza.

La mia intenzione non è quella di esaltare qualche religione, non è quella di sorvolare su alcuni aspetti delle religioni che assolutamente non condivido (ma che capisco, nella logica religiosa); semplicemente non ho l'intenzione di parlarne qui ed ora.
La mia intenzione di oggi è di raccontarvi il mio venerdì nella Grande Moschea di Roma e dirvi che in fondo, neanche troppo in fondo, a lunghi tratti mi è sembrata una Chiesa e le donne col capo coperto le amiche di mia nonna e io un'italiana per niente a disagio.

Beh, devo dire che il disagio era tutto mio, quando - arrivata con il mio gruppetto, formato dal mio insegnante di fotografia e un altro suo allievo e amico - e camminando lungo il vialetto che precede l'ingresso della moschea più grande d'Europa, ero l'unica femminuccia coi capelli al vento. Ma tutto è svanito quando ho indossato la mia pashmina, che poi, a fine funzione e arrivata fuori, ho addirittura dimenticato di togliere. Ho incontrato anche miei ex studenti, felicissimi e sorpresi di trovarmi lì. Ma questa è un'altra storia, da diario di una maestra nella Roma interculturale.

Sono entrata, abbiamo atteso l'inizio della preghiera e io mi sono seduta tra le donne. Diciamo che più che l'angolo delle donne quello è l'angolo dei bambini che giocano, imitano i loro genitori nella preghiera, si ribellano (carinissima una bambina di circa due anni che, quando tutte le donne si chinavamo per la preghiera rituale urlava "No, mamma no!", disperata. Probabilmente, sotto tutti quei veli si trovava al buio e aveva paura), corrono e si rincorrono, scalano scalini, ridono. Un parco giochi, che non ho smesso un attimo di osservare e di fotografare mentalmente, visto che non ho avuto neanche per un attimo la voglia di far foto praticamente.

La mia solitudine di italiana non musulmana è stata colmata dalla gentilezza di un'italiana musulmana, che si è offerta di farmi da guida e di tenermi accanto a lei perché - come mi ha detto avvicinandosi- "Qui tutte parlano in arabo e non capirai nessuno." Mi ha spiegato le fasi della funzione, mi ha rassicurato sul fatto che avrei ascoltato il discorso dell'imam (khutba) anche in italiano.

Dopo il discorso è arrivata la preghiera, breve, che mi sono goduta a distanza (fino ad allora ero stata tra le donne).

Ordinata, pacata, emozionante. I bambini distratti. L'amin corale che per due volte ha tuonato nell'edificio. E io che guardavo le donne: i loro vestiti colorati, quelli neri, i loro occhi bassi, le anziane che pregavano sedute su una sedia da campeggio portata da casa. A fine preghiera l'anziana donna marocchina con la sedia da campeggio, che già durante il tutto mi aveva lanciato uno sguardo sorridente, mi si avvicina, per accertarsi della mia nazionalità pakistana. Un po' delusa dal fatto di aver sbagliato, ma felice di avere un'italiana non musulmana in quel luogo, si è fermata a chiacchierare un po', a parlarmi del suo paese, di come sarebbe tornata a casa e di come sarà duro il ramadan imminente. In quel momento non stavo parlando con un'amica di mia nonna, ma quasi.


PS. Generalmente l'ingresso in Moschea ai turisti è concesso il sabato mattina, tramite visite guidate prenotabili dal sito della Moschea stessa. 

mercoledì 19 giugno 2013

Nonna Teresa e l'America

Nonna Teresa in America non ci voleva proprio andare. L'America è lontana, gli disse la vicina, quella là che era rimasta sola con figli e marito all'altro mondo e chissà mai se li avrebbe rivisti. L'America fa paura, è quasi un miracolo se ci arrivi, Tere', su quella nave nera nera che a Napoli già puzza di tutto quello che manco Dio lo sa. In America, Terè, il cielo non lo riesci a vedere e rimani chiusa dentro e non vedrai più montagne, che dietro alle montagne lo sai che c'è Roma e il Papa e da qualche parte, non lontano, c'è pure il mare. Dicono che è bello il mare, ma io non l'ho mai visto Tere', ma quando ho visto quella foto di mio figlio, ah, commà, il mare era nero e vicino e mio figlio chiaro, col vestito buono e nient'altro.

Nonna Teresa aveva lasciato partire nonno Ambrogio, che tanto lui avrebbe lavorato qualche anno e poi sarebbe tornato e avrebbero comprato la casa o forse la terra e poi costruito sopra la casa. Qualche anno bastava, mangiando carne almeno una volta a settimana e aspettando che 'sti mammocci se fanno grossi e pigliano moglie. Giuseppe è tanto bello, coi soldi americani lo farò sposare a una regina.

Nonna Teresa così aveva aspettato e poi era arrivata la guerra e nonno Ambrogio era tornato. Tere', m'hanno richiamato, ma io qua non ci resto. Tere', dovresti vederla l'America. Ci sta tutto, i figli sono bianchi e rossi, lavori, guadagni, Tere', vieni in America, ti faccio fare la signora. Avrai cento vestiti e una casa vera, con la luce, e 'sti figli ti giuro Tere', li mando a scuola e li faccio tutti maestri e dottori.

Nonna Teresa in America non ci voleva andare. Rimango qua, che vedo il sole ogni mattina, rimango qua che qua voglio vedere nascere i miei nipoti e li voglio che parlano italiano. In America con te non ci vengo, che chissà che fai laggiù, che già m'hai dimenticato e me l'hanno detto che ti hanno visto con una, quello di Segni t'ha visto, il calzolaio, e me l'hanno detto che abiti come le bestie nelle stalle, senza manco un letto. No, io non ci vengo in America, io me ne resto qua.

domenica 26 maggio 2013

Indignatevi!

Io direi che è il momento che vi allarmiate un attimo, mi sembra voi siate troppo tranquilli. Non vi lamentate di niente, non fate un fiato eppure:


1. è pieno di società segrete, cripto-ebraico-massoniche che controllano le banche e i governi;

2. Balotelli vi provoca, e pensare che il negro è lui! Assurdo! c'hannosqualificatolacurvapecolpadestonegroaho';

3. tutti si riempiono la bocca con il femminicidio eppure le donne continuano a truccarsi e a comprare minigonne, e ccheccapperi, ma di che si lamentano se se la vanno a cercare? Qualcuno dovrà pur dirglielo a queste poco di buono!;

4. muoiono un sacco di personaggi famosi dei quali non avete mai sentito parlare. Ma è giusto fare commemorazioni collettive, non vedo come non vi venga voglia di riprendere loro citazioni non verificate e riempirvi la bocca anche di questo! Tutti devono conoscere e adorare Pinco Palla!;

5.state vivendo l'amore, l'amicizia, le emozioni più fantastiche della vostra vita, e i vostri ex, amici cattivi, devono saperlo e soffrire attraverso la lettura, di nuovo, di citazioni attribuite ai grandi del passato;

6. si stava meglio quando si stava peggio;

7. non esistono più le mezze stagioni;

8. il lunedì è il giorno più brutto della settimana;

9. piove, k@$t@ ladra.



NO guardate, io direi che sarebbe il caso di esternarlo, perché non si capisce che tutte queste cose non le sopportate più.



NB. e i punti che vi ho ricordato sono 9, come 3x3, e 3x2=6 e 6 tre volte è 666, che è il numero del diavolo. Direi di pensarci e di indignarvi almeno un po'.

domenica 12 maggio 2013

Ma perché agli italiani non piace il PD? Eppure...

Quelli di sinistra sono gli intellettuali. Non sono simpatici, non sono divertenti, se la tirano un po' e sanno tutto loro. Sono permalosi (perché si attaccano a sottigliezze che non interessano a nessuno e che in quanto sottigliezze sfuggono ai più). Hanno leader boriosi e sono invidiosi di chi invece riesce a godersi la vita con leggerezza.

A me, però. questa definizione plurima non quadra. Non sono del tutto d'accordo e non capisco come gli italiani, popolo di sarcastici disfattisti, non riescano ad appassionarsi alla tragicommedia democratica.

Il Partito Democratico è innanzitutto un monolite longevissimo, che ha attraversato crolli e metamorfosi, risorgendo sempre uguale e diverso. Quindi, dovrebbe piacere a questo popolo di abitudinari, che non protestano a presidenti del consiglio nominati sette volte, che guardano ancora il festival di Sanremo (show morto e sepolto) e che ancora vanno al mare a Rimini.
Ma dai, fratello italico, non ti piace una cosa che conosci, che hai sempre avuto, che ti inganna e ti tradisce ma poi torna sempre a te?

Il Partito Democratico ha mille perdenti. è il partito dei perdenti. Vieni osannato, votato alle primarie, amato. E perdi. Devi perdere, altrimenti vieni cacciato (Prodi è davvero forse l'unico che qualche volta abbia vinto, e guardate come lo trattano). A noi italiani dovrebbe piacere, o quanto meno far ridere. Di solito questo è un popolo che vota e adora ciò che fa ridere, quindi mi stupisco fortemente di questa anomalia.
Sei proprio sicuro, o mio vicino da sempre, che non ti fa ridere per niente? devo dire qualche scurrilità, andrebbe meglio?

Il Partito Democratico è un partito di grandi individualismi. Secondo me veramente nel PD ci sono i migliori politici italiani ( e vabbè, piace vincere facile...). è come l'Italia. Hai Dante, Da Vinci, Montalcini, hai successo se te ne vai da solo in un altro paese, ma se gli italiani si mettono tutti insieme, su un progetto collettivo, è la fine. Non ci si riesce proprio. Nascono le chiacchiere, ritardi molteplici che compromettono il lavoro di tutti, pause caffè all'infinito, salamelecchi, cambi di programma ed inutili discussioni sul nulla, polemiche e pianti addosso che nemmeno in Francia.
Dai ma non lo vedi? A te è così che piace, Pulcinella!!

Il Partito Democratico ha le fazioni (che io adoro e che ritengo il sale della vita, ma quando è troppo è troppo!). Ma invece di farne una ricchezza, ci si piange addosso anche su questo. Mi ricordano il campanilismo, che credo di praticare anche quando sono a tavola con i miei genitori e mio fratello, visto che siamo nati ognuno in una località diversa della stessa regione. Che poi siamo vissuti insieme da sempre e che formiamo una famiglia è secondario. Io sono nata a Roma, loro no. La nostra ricchezza, la nostra bellezza, non ci va di vederla.
Ancora, non ti ho convinto? Sai, solo tu puoi usare diversi punti di vista per rimanere immobile!

Il Partito Democratico forse, è l'Italia. E per esorcizzare i suoi difetti, l'italiano medio, non vota ciò che è, ma vota ciò che vorrebbe essere (Berlusconi), ciò che vorrebbe avere (la decrescita felice e una nuova era rivoluzionaria di Grillo). Ma no, non prenderà mai quello che è semplicemente per migliorarlo (e questo non solo in politica...).





Si scherza un po'. credo davvero che uno dei problemi principali del PD sia la comunicazione poco efficace. Dovrebbero puntare la prossima campagna elettorale u questo: Italiano tu sei il PD!!!


venerdì 10 maggio 2013

Gli italiani, quelli col coltello.

Ma prima che l'uno o l'altro potesse tirare un pugno, la moglie del macellaio aveva afferrato suo marito per un braccio. 
"Cretino!", strillò in (...). "Ti metti contro un italiano? Non lo sai che portano il coltello - tutti quanti! Svelto!". Lo tirò indietro. "Dentro!".
(...)
"Sei pazzo?", gridò lei. "Lascia che lo ammazzi a coltellate qualche italiano tagliagola - non tu!".


Henry Roth, Call It Sleep, 1934.

giovedì 25 aprile 2013

Sul senso del cambiamento, secondo me e per i miei studenti adolescenti

è impossibile cambiare il mondo.
Perché?
Perché è impossibile.
Ma voi che cosa volete cambiare?
Tutto.
E perché?
Perché sì.
Ma sapete da dove volete partire?
Da tutto.
E cosa è cambiato nella storia, o negli ultimi decenni, o nella vostra vita?
Niente.


Questo è, più o meno, il discorso tra i miei studenti liceali e me. Un muro. Mi sono sentita male nel sentire che dei ragazzi di 15 anni non hanno idee sul cambiamento, hanno già perso le speranze e non accettano di considerare variazioni alle loro idee di assolutezza.


La mia rivoluzione, termine che tra l'altro non mi piace usare, sarà avvenuta non quando scenderemo in piazza a instaurare un nuovo ordine...

...ma quando ogni elettore sarà consapevole, senza subire il fascino affabulatorio di fantasiose proposte.

Quando ogni donna potrà uscire di casa con la mini più provocante e il trucco più accentuato senza sentirsi dare della "troia" e accettarlo come normalità, senza subire violenze poi considerate ragazzate.

Quando un ragazzo di colore, o dai tracci asiatici, o slavi, non verrà guardato male dalla signora imbellettata, in un negozio d'abbigliamento femminile. Perché non è uno scippatore, ma sta soltanto aiutando la sua ragazza italiana a scegliere un paio di jeans.

Quando ogni bambino si alzerà la mattina, felice, per andare a scuola. Quando questa scuola sarà il posto migliore per lui dove andare, veicolerà solo valori condivisi e condivisibili, il giusto modo di riconoscere questi valori, gli strumenti giusti per difendersi dalle ingiustizie e per capire quali sono le modalità di ricerca della giustizia.

Il punto è questo, il vero cambiamento sarà solo questo. Istruzione e impegno in questo senso. Chi la pensa come me, non ha altro da fare che interrogarsi sul ruolo che lui, come individuo, può assumere in questo cambiamento. Chiedersi in cosa potrebbe essere utile e iniziare ad operare.
Tutto il resto, fulmineo e d'élite, potrà trasformarsi solo in un'altra oppressione. E conosco già il pensiero di alcuni che stanno leggendo. Mi considerate una povera illusa, idealista. Ma guardate per una volta il vostro pensiero da un'altra posizione e troverete che gli unici illusi siete voi.

Buon 25 aprile oggi, e buon 25 aprile ieri. Un altro mondo, un'altra storia, dalla quale abbiamo solo da imparare.

domenica 21 aprile 2013

Populismo mediatico e Rodotà

è molto divertente osservare i miei connazionali in mesi di elezioni, dalle politiche, alla presidenza della Repubblica, passando per il Papa. è così, ad esempio quando si parla del soglio pontificio, che muoio dalle risate nel sentire "anche questo Papa è un conservatore". Embè, che vi aspettavate? Uno del circolo Mario Mieli?

Stesso divertimento, ma un po' più amaro, l'ho provato in questi ultimi tre giorni. Allora, siamo tutti d'accordo sul fatto che Rodotà sia persona  eccelsa e rispettabilissima e il PD come sempre ha mostrato la propria inettitudine. Ma c'è dell'altro.

E dell'altro è che i grillini si sono impuntati su un candidato - anni luce lontano dalle caratteristiche che tanto propagandano - come bambini di 3 anni che vogliono le caramelle, senza rendersi conto che si poteva mediare. Ok, nessuno li avrà chiamati in questi giorni. Ma come farlo dopo settimane di muri e dichiarazioni del tipo: "OquestoOgnente!"?
Quindi, accusatemi pure di antigrillismo militante, ma a mio avviso la loro arroganza e immaturità sono ancora una volta dei nodi cruciali.

Dell'altro è anche che il populismo mediatico che osservo è preoccupante. Ed esula dal discorso prettamente politico di palazzo. Riguarda la popolazione tutta, o almeno come una parte della popolazione continui a percepire, recepire e fare la politica.
Migliaia di persone inneggiano a Rodotà, al cambiamento radicale che avrebbe portato, al salvatore della patria che sarebbe stato.
Metto subito le mani avanti: lo avrei sostenuto se venuto fuori da una candidatura "normale". Lo ammiro e mi piace anche. Inoltre, so che giravano appelli per la sua candidatura da giorni, ed ammiro anche chi ha ideato la petizione e chi ci ha creduto.
Ma le modalità con le quali è venuto alla ribalta e la rivoluzione che con lui si voleva costruire mi stupiscono e mi fanno riflettere. La gente che in piazza lancia cuoricini e slogan in suo favore dovrebbe prima di tutto pensare a chi è quest'uomo (chi lo conosceva davvero prima di 48 ore fa? è davvero questo il cambiamento?), poi a che cosa sarebbe stato in suo potere fare e in seguito chiedersi: per cambiare tutto basta un presidente "amico"? Tutte queste persone che fanno politica sui social network, hanno percezione di quante ne sono completamente estranee e soprattutto della dose spropositata di assenza di discussione (non sempre, non mi piace generalizzare, ma questo mi pare proprio un bell'esempio)? Ci rendiamo conto della banalizzazione della vicenda, ridotta ai like o ai retweet?

Alcuni se lo saranno chiesto, e avranno trovato le loro risposte. Ma mi preoccupano, come sempre e universalmente, quelli che non si fanno domande.
Sappiamo quali sono i poteri del Presidente, anche in questi mesi di decantato quasi presidenzialismo. Quindi, perché agitarsi tanto? Sappiamo che le forze vanno calibrate, e che forse sarebbe meglio concentrarsi su altro. Una nomina non cambia nulla, e non mi dilungo su filosofeggiamenti inerenti il cambiamento che deve necessariamente partire dall'individuo (cosa peraltro della quale sono fermamente convinta).
Questa è un po' come la questione della donna presidente. L'avrei voluta, eccome. Ma so che per noi donne e per un mondo migliore con e delle donne non sarebbe cambiato molto, con una carica.

Riversarsi nelle strade del centro con fare da rivoluzionari illuminati mi sembra esagerato, nonché inutile.  Credo piuttosto che i tempi sono maturi per aizzare le folle a loro insaputa e fare slogan di tutto, far circolare qualche simpatica sentenza da 140 e - senza preoccuparsi di numeri, conseguenze o altro - riconoscersi in una totalità.

Secondo me, chiedere di scendere in Piazza per il Presidente della Repubblica è populismo. Mi dispiace abusare del termine ma è proprio così. Cambiamenti strutturali e risanamento economico non sono compiti del Presidente, il garante della Costituzione può avere più o meno affinità con ognuno di noi, può avere più o meno in simpatia Berlusconi, ma non so quanto possa davvero fare altro.

Quindi amici cari, amici belli, anche questo Papa è un conservatore, anche se ha l'anello d'argento.



PS. Per chi mi legge di solito qui, su facebook e twitter: sono in sciopero da facebook. Mi hanno stancato le semplificazioni e i fraintendimenti di quel modo di comunicare. Forse ci tornerò, non so. Proverò a scrivere più spesso qui e a dilungarmi quando lo ritengo opportuno, oppure a rinchiudermi in una torre piena di libri, a fare ciò che compete a un elettore del PD: invecchiare perdendo. Oppure ciò che compete a un'aspirante ricercatrice: riflettere sul suo futuro incerto. Grazie per la pazienza.

domenica 1 aprile 2012

I marò, L'India, l'Italia, la politica.


Qualche giorno fa correvo frettolosa verso la stazione di Ciampino, ridente e inquinatissima città dove risiedo fisicamente (ma non mentalmente).
Passando davanti al Municipio ho trovato, accanto alla foto di Rossella Urru e a quelle di Sakineh, quella dei due Marò, presunti uccisori di due pescatori nel Kerala, in India

Questa foto ormai trita e ritrita da tutti i media italiani ha destato in me non poche riflessioni, visto il contesto multisfaccettato nel quale si colloca nella mia mente. Ci sono infatti l'Asia, l'Italia, la diplomazia internazionale, i moventi nazionali e locali all'esposizione di una tale immagine... di tutto e di più.
Iniziamo dal macro: l'India e la diplomazia; l'India e la democrazia.
Nella vicenda l'India sicuramente pecca nel fregarsene di alcune regole internazionali e anche forse di alcune regole di buon senso, sul corretto svolgimento delle indagini. Ma sapete, l'India non è proprio la grande democrazia asiatica che vogliono farci credere, basta googlare (capperi che brutti termini inizio ad usare) un po' e vi accorgerete di cosa combina laggiù, nel silenzio generale:


Passiamo al locale, all'Italia. Vedere nell'affissione di questa foto una vecchia dicotomia fascismo/pacifismo e antimilitarismo mi sembra applicare una categoria desueta, che non risponde propriamente alla realtà. C'è indubbiamente qualcosa di simile e vicino a questo, che forse riprende anche alcuni elementi antichi e presenti in forme di totalitarismo. Ma la questione è a mio parere più sottile, e va al di là dello scontro politico tra ideologie sinistroidi e ideologie destroidi. Anzi, credo proprio che questo modus operandi favorisca e sia usato ora dall'una e ora dall'altra parte politica, se proprio ancora vogliamo assumere la distinzione così fatta tra le stesse.

Credo che in questo contesto si voglia creare un sentimento nazional popolare, che unisca tutti contro il nemico. Il nemico non è però il governo del Kerala, ma è tutto quello che potrebbe turbare la tranquillità del Paese, e la sua sempre presente onestà. Ancora di più, il sentimentalismo credo serva da antidoto all'eventuale insuccesso diplomatico. Come a dire: "Noi abbiamo messo anche i manifesti fuori dai municipi, se non siamo riusciti a far niente non è mica colpa nostra!!"

E qui arriviamo al linguaggio politico (in senso lato) che comprende immagini, parole, utilizzati nel mondo della comunicazione politica e del giornalismo italici. Oramai sono infatti una cosa sola, e si passano l'un altro  stereotipi, atti propagandistici e altre facezie. 
Anche questa non è una novità, e viene da lontano. Ma l'uso fortissimo che se ne fa, e l'ingresso di questi concetti nell'opinione pubblica e nell'uso comune è prepotente e pericoloso. Non sono per niente convinta che la politica si faccia influenzare dalla strada e che anzi sia esattamente e ripeto, pericolosamente, il contrario. E così, ad esempio, il termine "marò" è ormai entrato nell'uso quotidiano, desemantizzato e corrispondente ormai solo a "quei due" marò.

lunedì 19 dicembre 2011

L'Europa esiste, altroché.

Ho letto un libro che ha confermato un sospetto che avevo da anni: l'Europa esiste.
Ok, sì, forse sto dicendo una cosa scontata.
L'Europa è un'entità a sé stante, con caratteristiche proprie e comuni che la differenziano da tutti gli altri continenti. E non sono solo la storia, la compattezza geografica e l'Euro (che casomai è una conseguenza di tutto ciò) a farla tale. Sono i nostri modi di fare e vivere e soprattutto, quello che percepiscono i non-europei.
Ho vissuto a lungo in Europa e a contatto con gli altri europei notando differenze comportamentali, di tradizioni ecc, ma leggendo questo libro di un americano che ha vissuto a Parigi per cinque anni ho pensato spesso: "Beh, ma quello che sta dicendo non è per niente una caratteristica francese, ma anche italiana e dunque... europea!"

Un altro inciso doveroso prima di entrare nel vivo. Ho sempre pensato che Italia e Francia fossero molto simili, più di due altri stati europei presi a caso. Ad esempio trovo personalmente meno vicine Italia e Spagna, contrariamente a un pensare comune diffuso. Anche per questo trovo calzante l'esempio di questo libro, perché ho sentito troppo spesso parlare della Francia come di un luogo diversissimo e lontanissimo da noi (e anche a noi avverso). Certo, vale lo stesso discorso che vale per tutti gli altri Paesi. Siamo simili ma NON UGUALI, ed è giusto sempre sottolineare le differenze ma senza che diventino un ostacolo.

Ecco il libro, Da Parigi alla luna di Adam Gopnik.
Un reporter newyorkese vive a Parigi per cinque anni con la moglie e il loro primogenito; è un racconto di vita quotidiana ma soprattutto di vita parigina, divertente e acuto. Ma tutto visto con occhi americani, più specificamente con occhi della Grande Mela.
Ed è così che Adam si stupisce del fatto che i francesi non usino la segreteria telefonica, che vadano in palestra per socializzare e non per ammazzarsi di sport, che parlino di politica appassionatamente e frequentemente come gli americani parlano di baseball. Si stupisce poi delle lungaggini burocratiche e del fatto che i francesi protestino per l'aumento dell'età della pensione, contenti di andarci, mentre gli americani non desiderano altro che lavorare per sempre, quasi per sentirsi immortali. Ancora, l'autore è molto colpito dall'espressione francese "c'est normal" utilizzata spessissimo, come intercalare, con tono di rassegnazione.

Beh, che dire? Italia, Francia quindi Europa? (O forse esistono gli Stati Uniti, contrapposti a tutto il resto?)Non vorrei arrivare a soluzioni semplicistiche ma leggendo ho pensato più volte all'esistenza dell'Europa, un'Europa delle piccole cose.


ps. dedico questo post -come faccio quasi sempre- alla Lega Nord, antieuropeista. Chissà perché, ma la Lega ed io siamo sempre in disaccordo.

mercoledì 14 dicembre 2011

Regalasi razzismo di seconda mano. Quasi nuovo.

Devo scrivere in fretta e furia. devo scrivere questo post che mi viene da dentro: dallo stomaco, dal cuore, dal cervello.
I fatti razzisti e xenofobi di questi ultimi giorni a Torino e Firenze non dovrebbero lasciare nessuno indifferente. figuratevi me.

A Torino una ragazzina di 16 anni fa sesso con il suo ragazzo. Vuole nascondere il tutto alla famiglia, cattolica e ossessionata dalla verginità tanto da farle fare periodiche visite ginecologiche per controllare. (e io mi chiedo: che famiglia è? come sta educando questa ragazza? e chi è questo ginecologo?). per celare con efficacia il fattaccio ha un colpo di genio, inventa una bugia che avrà pensato geniale: racconta di aver subito una violenza. Secondo voi chi sarebbe stato a violentarla? (rullo di tamburi) vi do solo un indizio: vi ricordate che disse Erica- la mostra di Novi Ligure- all'indomani dell'uccisione del fratellino e dell mamma? Lei disse che erano stati degli albanesi. andavano molto di moda a quei tempi. Stavolta la colpa è di due rom, che obiettivamente ora vanno più di moda di albanesi, terroristi islamici e romeni. La ragazzina smentirà, ma solo dopo che simpatici suoi concittadini avevano messo a ferro e fuoco il campo nomadi più vicino. Andiamo a Firenze, ieri. Un 50enne di Casapound esce, va al mercato a farsi un giro, armato. passeggia, si guarda intorno, vuole forse fare dei regalini di natale per i camerata. ma non vi distraete, ricordatevi che è sempre armato. ricordatevi che è di Casapound e odia gli stranieri. ora pensate a un mercatino italiano dei nostri tempi. chi ci lavora? stranieri! AH! EUREKA! deve aver urlato anche lui. inizia a sparare e uccide due senegalesi. poi si uccide, chissà perché.

vi dico subito: non sono pessimista, non voglio sparare a zero contro 60 e rotti milioni di razzisti. non siamo un Paese razzista, per fortuna; se lo fossimo realmente si sentirebbero anche più spesso storie simili. ma attenzione, pur non essendo un paese popolato di razzisti, molti italiani lo sono. molti sono razzisti consapevoli e felici, i più -invece- non si dichiarano tali ma lo sono in tutto e per tutto. altri ancora si nascondono dietro la bandiera della pace e della fratellanza, ma poi conservano remore razziste o antisemite o anti-rom a seconda dell'occasione.

ad aver peggiorato questa situazione ci ha pensato il razzismo di governo degli ultimi anni. la lega nord alla maggioranza ha fatto il grosso, le inesistenti regolamentazioni sull'immigrazione gli hanno dato man forte.

in breve. la vita per gli immigrati è difficilissima. ottenere un permesso di soggiorno è complicatissimo e inesorabilmente legato ad un lavoro con contratto. L'immigrato che cerca di regolarizzarsi è così continuamente ricattato dal datore di lavoro, dallo stato, dalla minaccia di cadere nell'irregolarità. L'irregolare invece, il "clandestino", cerca disperatamente quel contratto ma con limiti e paure continue e ancora ricatti da chi lo assume in nero (spessissimo connazionali che hanno fatto strada...) e, ultimo ma non ultimo, lo spettro dell'espulsione.
la situazione di difficoltà dell'immigrato è quindi originata dalla legislazione lacunosa e disattenta, e dai piani alti ai quali in parte fa comodo mantenerla così.
l'immigrato in questo contesto diventa agli occhi di tutti lo sbandato, il clandestino, il senza lavoro, che accetta lavori a bassissimi salari rubandoli agli italiani. Partiti politici e media lo ripetono al'infinito, le persone ci credono e fanno proprie queste dicerie. le assimilano, iniziano realamente a crederci e i razzisti di professione (si legga: i vari gruppi alla "Casapound", la Lega Nord etc.) le rafforzano.

ed ecco i fatti di Firenze e Torino: semplici pensieri qualunquisti, alimentati dal periodo di crisi, guerre tra poveri che riemergono che - però- aleggiano nell'aria da anni.a mio modesto parere, infatti, gli eventi tragici degli ultimi giorni sono solo l'esplosione di quei fermenti e luoghi comuni che ho cercato di spiegare in questo scritto (magari non benissimo, sono veramente troppo infuriata per dare un senso logico a tutto).
Fermenti e luoghi comuni, non invisibili a uno sguardo attento, che trovano spazio nelle chiacchierate occasionali suo mezzi pubblici, negli sguardi rivolti al ragazzo immigrato, nelle battute di cattivo gusto sulle donne straniere...

sabato 3 dicembre 2011

Amara terra mia





Sole alla valle, sole alla collina, per le
campagne non c'è‚ più nessuno.
Addio, addio amore, io vado via,
amara terra mia, amara e bella...

Cieli infiniti e volti come pietra, mani
incallite ormai senza speranza.
Addio, addio amore, io vado via,
amara terra mia, amara e bella...

Tra gli uliveti ‚ nata gi la luna, un bimbo
piange, allatta un seno magro.
Addio, addio amore, io vado via,
amara terra mia, amara e bella...

domenica 2 ottobre 2011

La Terraferma ci aspetta. Forse.

Giovedì sera sono andata al cinema a vedere Terraferma, vincitore del Premio speciale della giuria del Festival del cinema di Venezia e, notizia relativamente fresca, candidato italiano ai prossimi Oscar.

La trama è semplice, attuale e toccante: un'isola siciliana di pescatori e turisti vive gli sbarchi dei clandestini dalle coste africane. L'arrivo, il tentativo di mascherare i fatti, il contrasto tra l'antica legge del mare dei pescatori e l'odierna regolamentazione riguardante i clandestini, la storia di due donne che si incontrano, si scontrano e si conoscono in quanto appartenenti all'universo femminile e all'universo in genere (a questo proposito: ottima Donatella Finocchiaro!).



Devo dire che inizialmente l'idea di un film così fatto mi lasciava perplessa. è facile, pensavo, raccontare l'immigrazione in questo modo. è facile far scendere una lacrima con immagini di corpi in mare, di donne e bambini che fuggono da povertà e distruzione per far ritrovare poi il sorriso, seppur amaro, quando i pescatori e gli abitanti dell'isola si fanno in quattro per i loro fratelli clandestini.
Un film che in un contesto di società che accetta e comprende i movimenti migratori sarebbe anche banale. Sarebbe quasi come raccontare un qualsiasi altro evento quotidiano. Invece l'immigrazione non è per niente quotidianità, non è ancora per niente ordinarietà.è ordinaria è quotidiana sì, ma per la propaganda e i media. E qui non mi dilungo, credo sia molto semplice da capire.
Nella nostra società, che ancora metabolizza a stento lo spostamento di popolazione e ancora peggio confonde e mescola questo astio con quelli che dovrebbero essere i normali comportamenti legislativi ma soprattutto umani di accoglienza, il film di Emanuele Crialese è un grido d'allarme, un documentario, un film assolutamente da vedere e apprezzare.

Peccato però, che la sala cinematografia fosse piena solo dei "soliti noti". Spettatori quasi stereotipati, tra i 20 e i 45 anni con sciarpette colorate e accessori equo-solidali, più qualche persona sui 60 anni, distinta e intellettuale. Spettatori che conoscono, almeno sulla carta, queste problematiche.
Sottolineo sulla carta. Infatti non ho mai fatto di tutta l'erba un fascio, e non lo farò mai. Però permettetemi di rimanerci male quando una 35enne dal caschetto riccio e sbarazzino mi intima con veemenza di stare zitta, dopo che ho pronunciato n°4 parole durante una scena con visuale del mare e musica. Mi sono permessa di parlare con l'evidente intento di spiegare un vocabolo all'amico non nativo che mi sedeva accanto.


ps. consiglio di leggere le considerazioni de Il Giornale che trova il film non veritiero e mendace e una notizia di qualche giorno fa, sull'assoluzione di pescatori che salvarono clandestini in mare.

lunedì 18 luglio 2011

ad andar coi francesi

i rapporti tra i popoli sono davvero un tema interessante. Me ne sto occupando da diverse angolature, è un tema che spesso occupa i miei pensieri. dunque, da italiana francofila che ha passato un po' di tempo al di là delle Alpi sento il bisogno e il dovere di parlare di uno in particolare di questi rapporti: Francia/Italia.

partirò e resterò òprobabilmente nella goliardia e nei luoghi comuni:
Chi l'ha detto che i francesi sono antipatici? chi ha detto che i francesi non amano l'Italia?

io no.

i francesi non sono antipatici.
i francesi, a mio avviso, sono molto gentili e civili.e una ovlta che li conosci, anche simpatici. ho visto diverse volte persone dare indicazioni in modo cordiale, esaustivo e "appassionato". ho visto per la strada aiutare barboni ubriachi, disabili, semplici passanti con le buste della spesa. ho visto automobilisti francesi fermarsi col giallo al semaforo e rispettare pedoni e ciclisti.
Certo, i francesi sono caratterialmente diversi da noi. Molti sono più chiusi e non è semplicissimo instaurare rapporti. dal nostro punto di vista sono forse più "freddi", meno calorosi. Ma non credo sia questo che li renda antipatici; sarebbe come dire che una persona timida o una poco affettuosa siano antipatiche o malvage. ce ne passa.
C'è poi chi dice che sono i parigini ad essere antipatici. Beh, vorrei combattere anche questa diceria. Intanto, molte delle cose che ho elencato qui sopra sono accadute proprio a Parigi. Poi, ma voi sapete che cosa vuol dire vivere a Parigi? io lo so, perchè ci sto vivendo e perchè sono nata a Roma. Anche la mia città è una città terribile per gli stranieri. è caotica e sempre piena di turisti. E i romani, i particolare quelli che lavorano in centro (soprattutto i commercianti), non è che siano poi chissàquanto simpatici... molti mi hanno raccontato di risposte poco gentili da parte di ristoratori capitolini; non dimentichiamo poi la nota simpatia dei tassisti. devo dire che anche io sono poco accogliente con i turisti a Roma. e per non essere scortese faccio di tutto per evitarli.
Romani e Parigini capiscono che il turismo porta denaro. ma vivono anche nel caos perenne. quindi, non appoggio gli episodi di antipatia e scortesia, ma neanche me la sento di condannare; si tratta di comportamenti spiegabili.
Forse i francesi sono antipatici a molti perchè sono sempre convinti di essere francesi. amano il loro paese e sono convinti della sua grandezza. beh dai, vivono in un bel paese. come biasimarli? al di là di questo, a me non infastidisce il fatto che amino molto il loro paese. anzi.

i francesi adorano l'Italia.
I francesi ci adorano. adorano la nostra lingua, la nostra cultura, i nostri sorrisi. questo lo noto ogni giorno sulla mia pelle, quando le persone capiscono che sono italiana e mi fanno un grande sorriso. a volte mi riempiono di luoghi comuni, ma non solo. non mi parlano solo di parmigiano e pizza (e non mi cantano solo Toto Cotugno). ma anche di Mastroianni, delle spiagge pugliesi, di Paolo Conte e di Piazzale Loreto (i francesi adorano torturare re e dittatori in pubblica piazza). e anche quando si tratta di cibo, non sottovaluterei. mangiare italiano è una cosa di classe. a parte i mille ristoranti pseudo italiani che esistono ci sono moltissimi negozi di alimentari con prodotti italiani. e chi va lì non è uno srpovveduto, ma un grande intenditore di cucina (oltre ad avere i soldi per permetterselo).
in Francia nessuno mi ha mai parlato male del mio Paese, eccetto quando si nomina Silvio B.. in quel caso sì, sono dispiaciuti e mi chiedono "mais porquoi?".
Per il resto, sono una "ritale" felice qui.

Grazie all'amore dei francesi per noi e al loro amore per la Francia ogni volta che torno voglio un po' più bene all'Italia.

sabato 25 giugno 2011

Lettera ai leghisti

Cari Leghisti,

vi scrivo per dirvi che siete dei perfetti idioti. Senza mezzi termini. Voi non lo sapete ma la maggior parte delle persone di buon senso troverebbero questa lettera una sfilza di ovvietà, ma voi no. Voi la troverete assurda; ma tra voi e le persone di buon senso ce n'è.

Partiamo da qualcosa di semplice: Pontida e la secessione.
Vi consiglio di andarvi a studiare un po' di storia, basta la pagina del sussidiario delle elementari sulla battaglia di Legnano e la Lega Nord. Ovviamente non la pagina su di voi, ma sulla Lega che nacque nel 1167. se vi fermerete un attimo a pensare, dopo aver letto, capirete che il vostro nome non è che un'usurpazione, e che quello che voi professate va ben in contrasto con gli intenti e il significato di quella Lega Nord. Quello fu forse il primo esempio di unione di città italiane contro lo straniero, quando il concetto di Italia non esisteva ancora, o almeno non ancora come noi lo intendiamo oggi. Quindi- e qui diventa una lettera questionario- perchè mai vi rifate a loro, a Pontida se voi ve ne fregate dell'identità italiana, la disprezzate e la volete annullare?

Andiamo avanti. Volete spostare i ministeri. a che pro? in quale altro Stato del mondo i ministeri non sono nella capitale? e in quale altro stato del mondo ci si lamenta per questo? Mi sembra, tra l'altro, che non vi lamentiate quando da Roma vi arriva l'abbondante stipendio.

Non voglio essere noiosa, ma urge anche parlare di un altro vostro cavallo di battaglia: l'immigrazione.
Non volete gli immigrati che vi rubano il lavoro, non volete clandestini che vengono qui a fare i parassiti, volete conservare il vostro bel sangue padano.
Anche qui il consiglio è lo stesso, andatevi a studiare un po' di storia. andatevi a vedere qualche dato sull'emigrazione italiana. e anche si, sugli italiani del Nord che emigrarono. e poi andate a fare una piccola ricerca familiare. Di certo, oltre a trovare parenti negli Usa, in Argentina o in Francia troverete anche congiunti terroni. Ebbene si, siete frutto di spostamenti di persone anche voi. Non lo potrete mai negare, non potrete mai impedire ad altri di muoversi. E non mi potete neanche dire che gli italiani che emigravano erano solo onesti e bravi lavoratori. C'era di tutto (e non fatemi dire banalità!).

poi dovete farmi un favore, ma attenzione: questo vi porterà a dover ancora leggere e cercare qualcosa. Vorrei tanto approfondire il concetto di "Padania". Che cos'è, chi sono gli abitanti, cosa li lega tra loro etc. Insomma, avrei bisogno di un piccolo bignami di cultura e civiltà padana.

Altra cosa che mi fa molto ridere- tra le tante- è il vostro attaccamento alla cultura celtica. dovete sapere che insieme al sangue dei celti in Italia c'è molto altro e molto di più: normanni, arabi, goti, longobardi, greci, romani... e poi aggiungo e qui finisco veramente, i celti sono un popolo scarsissimo! hanno perso contro tutti... tiè!! (e la mia conclusione è proprio nel vostro stile, un insulto infantile e sciocco poichè parlando la vostra stessa lingua spero di essere capita.)

Ciao

ps. mi dispiace di avervi consigliato così tante volte di leggere, studiare, cercare. So bene che non siete abituati.