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lunedì 9 luglio 2012

Pakistan, India e il giro del mondo in 80 giorni

Mi sono commossa. Ho ritrovato questo mio scritto, un compito di prima media. Ricordo benissimo di averlo scritto in occasione di una sollecitazione della Professoressa d'italiano, che ci invitava a riflettere sulla leadership di Benazir Bhutto in Pakistan. Ricordo di aver cercato il Pakistan sulla cartina, di aver fatto repentinamente il collegamento con le vedove indiane delle quali avevo letto nel "Giro del mondo in 80 giorni" di Jules Verne. Chissà, se qualcuno mi avesse detto che in futuro mi sarei dedicata a studi sulle donne, che avrei avuto contatti strettissimi con quell'angolo del mondo e che avrei studiato nell'Università che di Verne porta il nome, chissà se ci avrei creduto... ma a parte inutili fatalismi ai quali non credo e non crederò mai, faccio i complimenti alla piccola Sara e mi vanto un po' davanti a tutti (anche se alcune ingenuità e incertezze di questa scrittura e dei ragionamenti mi fanno sorridere).


"La donna occidentale è ritenuta alla pari dell'uomo. ma ci sono alcune situazioni che non dimostrano tutto ciò. ad esempio, le donne, pur lavorando come gli uomini ricevono un salario più basso. la povertà, poi, ha un volto femminile, infatti il 70% dei poveri è donna. in base alla cultura, all'economia e alla religione del loro paese le donne hanno assunto un ruolo diverso. basti pensare all'India dove ancora pochi anni fa la donna doveva suicidarsi sul corpo del marito e non succedeva il contrario. questo uso, probabilmente, è stato abolito perché il paese, essenso in via di sviluppo riceveva influssi dalla ricca civiltà occidentale. nella nostra religione tutti sono considerati uguali, quindi anche le donne. il nostro Dio è insieme Padre e Madre, ma nell'essere umano i due elementi si dividono bruscamente. nel sud del mondo le donne coltivano i campi, educano i figli, regolano la gestione familiare, creano piccole cooperative di produzione. ma restano ugualmente emarginate. le donne islamiche sono tra le meno libere, ma al potere sono di più di quelle italiane, di quelle americane o di qualsiasi altro paese che giudica le donne come gli uomini."

domenica 1 aprile 2012

I marò, L'India, l'Italia, la politica.


Qualche giorno fa correvo frettolosa verso la stazione di Ciampino, ridente e inquinatissima città dove risiedo fisicamente (ma non mentalmente).
Passando davanti al Municipio ho trovato, accanto alla foto di Rossella Urru e a quelle di Sakineh, quella dei due Marò, presunti uccisori di due pescatori nel Kerala, in India

Questa foto ormai trita e ritrita da tutti i media italiani ha destato in me non poche riflessioni, visto il contesto multisfaccettato nel quale si colloca nella mia mente. Ci sono infatti l'Asia, l'Italia, la diplomazia internazionale, i moventi nazionali e locali all'esposizione di una tale immagine... di tutto e di più.
Iniziamo dal macro: l'India e la diplomazia; l'India e la democrazia.
Nella vicenda l'India sicuramente pecca nel fregarsene di alcune regole internazionali e anche forse di alcune regole di buon senso, sul corretto svolgimento delle indagini. Ma sapete, l'India non è proprio la grande democrazia asiatica che vogliono farci credere, basta googlare (capperi che brutti termini inizio ad usare) un po' e vi accorgerete di cosa combina laggiù, nel silenzio generale:


Passiamo al locale, all'Italia. Vedere nell'affissione di questa foto una vecchia dicotomia fascismo/pacifismo e antimilitarismo mi sembra applicare una categoria desueta, che non risponde propriamente alla realtà. C'è indubbiamente qualcosa di simile e vicino a questo, che forse riprende anche alcuni elementi antichi e presenti in forme di totalitarismo. Ma la questione è a mio parere più sottile, e va al di là dello scontro politico tra ideologie sinistroidi e ideologie destroidi. Anzi, credo proprio che questo modus operandi favorisca e sia usato ora dall'una e ora dall'altra parte politica, se proprio ancora vogliamo assumere la distinzione così fatta tra le stesse.

Credo che in questo contesto si voglia creare un sentimento nazional popolare, che unisca tutti contro il nemico. Il nemico non è però il governo del Kerala, ma è tutto quello che potrebbe turbare la tranquillità del Paese, e la sua sempre presente onestà. Ancora di più, il sentimentalismo credo serva da antidoto all'eventuale insuccesso diplomatico. Come a dire: "Noi abbiamo messo anche i manifesti fuori dai municipi, se non siamo riusciti a far niente non è mica colpa nostra!!"

E qui arriviamo al linguaggio politico (in senso lato) che comprende immagini, parole, utilizzati nel mondo della comunicazione politica e del giornalismo italici. Oramai sono infatti una cosa sola, e si passano l'un altro  stereotipi, atti propagandistici e altre facezie. 
Anche questa non è una novità, e viene da lontano. Ma l'uso fortissimo che se ne fa, e l'ingresso di questi concetti nell'opinione pubblica e nell'uso comune è prepotente e pericoloso. Non sono per niente convinta che la politica si faccia influenzare dalla strada e che anzi sia esattamente e ripeto, pericolosamente, il contrario. E così, ad esempio, il termine "marò" è ormai entrato nell'uso quotidiano, desemantizzato e corrispondente ormai solo a "quei due" marò.