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sabato 4 luglio 2015

Non volevo fare la professoressa

Mi fermo spesso a pensare alla studentessa che sono stata e devo dire che non ci trovo nulla di eccezionale, nulla di memorabile, nulla che possa veramente servire da esempio ai miei studenti. Almeno nulla che possa essere utilizzato da loro come modello esplicito. Ma loro non sanno, e non lo sanno la maggior parte dei colleghi, e non lo sapevo neanche io fino a qualche settimana fa che è stata proprio quella Sara lì a fare questa professoressa. Con tutti i pregi e i difetti.

All'asilo ero buona, troppo buona. Il mio vero obiettivo era quello di tornare al più presto da mia madre e toglierlo dalle grinfie di mio fratello, minore, che amavo e odiavo. Ma forse questo non è interessante.

Alle elementari ero bravissima, mi sono distinta fin da subito nelle lettere, mentre accusavo tremendi mal di pancia quando arrivava inesorabile il momento delle tabelline.

Ma è stato in odor di adolescenza che mi sono scatenata, continuavo ad essere abile con le parole e furba più degli altri nel dissimulare le mie difficoltà con i numeri, ma ero diventata una fastidiosa chiacchierona. Per anni non si è capito il perché; ora lo so: mi annoiavo a morte.

Al liceo avvenne la vera tragedia. Non si sa come e perché qualcuno mi aveva convinto dell'inesistente differenza tra classico e scientifico e così io scelsi il secondo. Furono cinque anni di chiacchiere (ovviamente) e di mia resistenza nei confronti della matematica e della fisica. Intanto leggevo, ascoltavo cantautori e grunge, mi innamoravo di ragazzi impossibili e scrivevo diari. Dichiaratamente non mi piaceva per nulla essere al centro dell'attenzione, ma in realtà lo facevo, chiedevo aiuto in tutti modi indossando pantaloni troppo larghi e facendomi notare per le mie incompetenze logico-matematiche, da me stessa ulteriormente amplificate.

Osservavo tutti, compagni e professori, dall'esterno ma mai troppo. Non ero infatti una di quelle adolescenti troppo difficili, forse non avevo il coraggio neanche di essere troppo fuori. Mi piaceva di più tenere i piedi in due staffe, non si sa mai.

Quello che penso ora, seduta dall'altra parte della classe, è che in realtà a nessuno è mai venuto in mente di chiedermi perché avessi letto l'intera opera di Gabriel Garcia Marquez invece di spendere qualche minuto in più sul libro di fisica. Le ragioni le so, e la colpa non è di nessuno. Anche chiedendomelo non avrebbero risolto nulla. Come non avrebbero potuto risolvere i grossi problemi familiari del mio compagno Tizio, quelli psicologici di Caio, quelli di Sempronio con la sua ragazzetta - che tra tutti erano quelli più divertenti. Non c'è il tempo, non ci sono le competenze e non è sempre giusto (lo credo fermamente) avventurarsi troppo in certi campi.

Però io quest'anno non ho spiegato tutto Dante, ma ho fatto tante altre domande, ho provato a dare alcune risposte e sono contenta così. Tutto grazie a quella Sara lì, che aveva giurato che lei la professoressa non l'avrebbe mai fatta.

giovedì 25 aprile 2013

Sul senso del cambiamento, secondo me e per i miei studenti adolescenti

è impossibile cambiare il mondo.
Perché?
Perché è impossibile.
Ma voi che cosa volete cambiare?
Tutto.
E perché?
Perché sì.
Ma sapete da dove volete partire?
Da tutto.
E cosa è cambiato nella storia, o negli ultimi decenni, o nella vostra vita?
Niente.


Questo è, più o meno, il discorso tra i miei studenti liceali e me. Un muro. Mi sono sentita male nel sentire che dei ragazzi di 15 anni non hanno idee sul cambiamento, hanno già perso le speranze e non accettano di considerare variazioni alle loro idee di assolutezza.


La mia rivoluzione, termine che tra l'altro non mi piace usare, sarà avvenuta non quando scenderemo in piazza a instaurare un nuovo ordine...

...ma quando ogni elettore sarà consapevole, senza subire il fascino affabulatorio di fantasiose proposte.

Quando ogni donna potrà uscire di casa con la mini più provocante e il trucco più accentuato senza sentirsi dare della "troia" e accettarlo come normalità, senza subire violenze poi considerate ragazzate.

Quando un ragazzo di colore, o dai tracci asiatici, o slavi, non verrà guardato male dalla signora imbellettata, in un negozio d'abbigliamento femminile. Perché non è uno scippatore, ma sta soltanto aiutando la sua ragazza italiana a scegliere un paio di jeans.

Quando ogni bambino si alzerà la mattina, felice, per andare a scuola. Quando questa scuola sarà il posto migliore per lui dove andare, veicolerà solo valori condivisi e condivisibili, il giusto modo di riconoscere questi valori, gli strumenti giusti per difendersi dalle ingiustizie e per capire quali sono le modalità di ricerca della giustizia.

Il punto è questo, il vero cambiamento sarà solo questo. Istruzione e impegno in questo senso. Chi la pensa come me, non ha altro da fare che interrogarsi sul ruolo che lui, come individuo, può assumere in questo cambiamento. Chiedersi in cosa potrebbe essere utile e iniziare ad operare.
Tutto il resto, fulmineo e d'élite, potrà trasformarsi solo in un'altra oppressione. E conosco già il pensiero di alcuni che stanno leggendo. Mi considerate una povera illusa, idealista. Ma guardate per una volta il vostro pensiero da un'altra posizione e troverete che gli unici illusi siete voi.

Buon 25 aprile oggi, e buon 25 aprile ieri. Un altro mondo, un'altra storia, dalla quale abbiamo solo da imparare.

martedì 6 settembre 2011

Diario di una maestra




Da ormai un paio d'anni provo a stare in piedi nel mondo del volontariato, insegnando italiano agli immigrati in una grossa associazione nella zona della Stazione Termini.

Non so perché non ne ho parlato mai prima, ma ora inauguro anche questa rubrica. Non mi dilungherò sulle motivazioni che mi hanno portato a questa attività, e nemmeno su quello che l'esperienza mi ha dato e continua a darmi. Questo lo capirete piano piano.

Oggi voglio riportare alcune domande degli studenti. Poche, perché poche me ne ricordo e perchè non voglio viziarvi.
Attenzione: non è “Io speriamo che me la cavo”, è molto molto meglio. e lungi da noi la figura dell'immigrato bambino...

“Maestra, perché in Italia non c'è il Welfare State come in Francia? Chi prende tutti i soldi?”

“Maestra, perché gli italiani in Etiopia e in Eritrea non hanno aperto le scuole?”

“è più bella Roma o Parigi?”

“Maestra, perché non diventa ricca e viene ad aprire una grande azienda in Marocco, nella mia città? Io tornerei subito in Marocco.”