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venerdì 10 maggio 2013

Gli italiani, quelli col coltello.

Ma prima che l'uno o l'altro potesse tirare un pugno, la moglie del macellaio aveva afferrato suo marito per un braccio. 
"Cretino!", strillò in (...). "Ti metti contro un italiano? Non lo sai che portano il coltello - tutti quanti! Svelto!". Lo tirò indietro. "Dentro!".
(...)
"Sei pazzo?", gridò lei. "Lascia che lo ammazzi a coltellate qualche italiano tagliagola - non tu!".


Henry Roth, Call It Sleep, 1934.

domenica 6 gennaio 2013

La letteratura mi salverà.

Da celebre malaintegrata, era da mesi che non trovavo le giuste dosi per l'amalgama tra me e le mie scelte letterarie. Ho letto troppe parole non degne, poco appassionanti, che rendevano i miei tragitti in macchina preferibili a quelli in treno e i miei sogni più aridi senza adeguate ninne-nanna.

Poi, ieri, ho incontrato Francis Scott Fitzgerald e il suo signor Gatsby. Non riesco a separarmi da quel volume. Come per ogni grande romanzo, durante la lettura, vivo il conflitto noto del "ho bisogno di leggerlo/non devo leggerlo altrimenti finirà subito".

Stasera poi, ho deciso di deliziare la lettura di Fitzgerald con Dylan in sottofondo. E l'America è servita.

"Il suo cuore battè sempre più forte quando il viso bianco di Daisy s'avvicinò al suo. Sapeva che baciando quella ragazza, e unendo per sempre quelle indicibili visioni al mortale respiro di lei, la sua mente non avrebbe più spaziato come quella di dio. Perciò aspettò. Ascoltando ancora per un momento il diapason che aveva battuto su una stella. Poi la baciò. Al tocco delle sue labbra, Daisy sbocciò per lui come un fiore e l'incantesimo fu completo."
(F.S. Fitzgerald, Il grande Gatsby



mercoledì 1 febbraio 2012

Bangladesh


Se non si è capito, io ho una grande passione per il Bangladesh. Non vi sto qui a raccontare come è nata, posso dargli dei nomi, ma per ora mi limiterò ad illustrarvi man mano come sta crescendo. Un piccolo tassellino per la costruzione di questa passione ce l’ha messo anche Stefania Ragusa con il suo “Bangladesh. Inferno di delizie”. Un libricino rosa ed esteticamente delizioso di 185 pagine, scritto da questa giovane giornalista che è stata nel Paese asiatico varie volte. Non sono mai stata in Bangladesh anche se a volte ho dei flash e dei deja vu in merito; e molto probabilmente un bangladese doc avrebbe degli appunti da fare a questo lavoro. Ma leggendolo mi è venuta voglia di partire (oltre ad aver avuto dei flash ancora più spaventosi).
Il libro non ha la pretesa di raccontarci un Paese in tutto e per tutto, ma di presentarcene dei pezzetti, quelli che la Ragusa ha avuto la fortuna di vedere. Povertà, bambini abbandonati, slum, ma anche elementi sul carattere dei bangladesi, usi e costumi, storia. Leggendo ho avuto i miei soliti e più pesanti dejà vu. Poi mi sono auto lodata e auto compiaciuta per quello che leggendo già conoscevo o riconoscevo, stupendomi di come a migliaia di Km sia stato possibile assimilare tanto. Moltissimo altro invece l’ho appreso con la lettura, che ha destato ancora di più la mia curiosità facendomi venir voglia di tirar fuori il sari…

domenica 29 gennaio 2012

Ancora Torpignattara

L’anno è iniziato parlando di Torpignattara: il 4 gennaio il tragico omicidio di Via Giovannoli e, solo poche notti fa, l’aggressione a tre cittadini bangladesi.
Continuiamo a parlarne anche qui, ma con un consiglio di lettura. Ve ne parlo brevemente e senza buttare nel calderone le mie opinioni in merito. Tanto già le potete immaginare.

“Pigneto-Banglatown. Migrazioni e conflitti di cittadinanza in una periferia storica romana” è un validissimo contributo per chi vuole capire la zona e, assumendola a modello, comprendere le trasformazioni urbanistico-sociali di Roma. La periferia della Capitale è da sempre meta di migrazioni ed è cresciuta attraverso vari interventi dall’alto e continui innesti spontanei e non di popolazione.

Il libro a cura di Francesco Pompeo è una raccolta di saggi, realizzato dall’osservatorio sul razzismo e le diversità “G. Favara”; il tutto inserito anche nel Contratto di Quartiere Pigneto,  progetto realizzato con i fondi del Piano investimenti 2005-2007 del Comune di Roma (non riesco a spiegarmi bene su questa faccenda, mi impiccio sempre con queste cose).
Si tratta di un lavoro di antropologia che parte dal racconto di come era la zona nei decenni precedenti a quelli che stiamo vivendo, al descrivere vari aspetti della comunità straniera dominante, quella bangladese.
Quindi la scuola di lingua bengalese, l’organizzazione politica, l’élite dei migranti e i loro leaders, le condizioni abitative, il radicamento familiare e le difficili vite dei probashi  (termine con il quale in Bangladesh si indicano gli emigrati) senza documenti.
In maniera particolare sono evidenziate le reti etniche e familiari e il transnazionalismo rappresentato da rimesse e notizie mandate in Bangladesh. Narrando del forte radicamento familiare e delle attività commerciali viene sottolineato invece come, la presenza vista spesso come conflittuale e degradante da parte di italiani e istituzioni, sia invece diventata un valore aggiunto e valorizzatore. Un quartiere che ha sempre vissuto nel degrado, infatti vive una nuova vita proprio grazie alla popolazione immigrata.

Leggete amici, e meditate.

lunedì 19 dicembre 2011

L'Europa esiste, altroché.

Ho letto un libro che ha confermato un sospetto che avevo da anni: l'Europa esiste.
Ok, sì, forse sto dicendo una cosa scontata.
L'Europa è un'entità a sé stante, con caratteristiche proprie e comuni che la differenziano da tutti gli altri continenti. E non sono solo la storia, la compattezza geografica e l'Euro (che casomai è una conseguenza di tutto ciò) a farla tale. Sono i nostri modi di fare e vivere e soprattutto, quello che percepiscono i non-europei.
Ho vissuto a lungo in Europa e a contatto con gli altri europei notando differenze comportamentali, di tradizioni ecc, ma leggendo questo libro di un americano che ha vissuto a Parigi per cinque anni ho pensato spesso: "Beh, ma quello che sta dicendo non è per niente una caratteristica francese, ma anche italiana e dunque... europea!"

Un altro inciso doveroso prima di entrare nel vivo. Ho sempre pensato che Italia e Francia fossero molto simili, più di due altri stati europei presi a caso. Ad esempio trovo personalmente meno vicine Italia e Spagna, contrariamente a un pensare comune diffuso. Anche per questo trovo calzante l'esempio di questo libro, perché ho sentito troppo spesso parlare della Francia come di un luogo diversissimo e lontanissimo da noi (e anche a noi avverso). Certo, vale lo stesso discorso che vale per tutti gli altri Paesi. Siamo simili ma NON UGUALI, ed è giusto sempre sottolineare le differenze ma senza che diventino un ostacolo.

Ecco il libro, Da Parigi alla luna di Adam Gopnik.
Un reporter newyorkese vive a Parigi per cinque anni con la moglie e il loro primogenito; è un racconto di vita quotidiana ma soprattutto di vita parigina, divertente e acuto. Ma tutto visto con occhi americani, più specificamente con occhi della Grande Mela.
Ed è così che Adam si stupisce del fatto che i francesi non usino la segreteria telefonica, che vadano in palestra per socializzare e non per ammazzarsi di sport, che parlino di politica appassionatamente e frequentemente come gli americani parlano di baseball. Si stupisce poi delle lungaggini burocratiche e del fatto che i francesi protestino per l'aumento dell'età della pensione, contenti di andarci, mentre gli americani non desiderano altro che lavorare per sempre, quasi per sentirsi immortali. Ancora, l'autore è molto colpito dall'espressione francese "c'est normal" utilizzata spessissimo, come intercalare, con tono di rassegnazione.

Beh, che dire? Italia, Francia quindi Europa? (O forse esistono gli Stati Uniti, contrapposti a tutto il resto?)Non vorrei arrivare a soluzioni semplicistiche ma leggendo ho pensato più volte all'esistenza dell'Europa, un'Europa delle piccole cose.


ps. dedico questo post -come faccio quasi sempre- alla Lega Nord, antieuropeista. Chissà perché, ma la Lega ed io siamo sempre in disaccordo.

domenica 15 maggio 2011

un altro libro

Oggi vi consiglierò l'ultimo libro che ho letto a Roma prima della trasferta parigina. E ve lo consiglio vivamente per quelli che sono, ormai, quasi i soliti motivi: è un libro sui temi dell'immigrazione ed è un libro che per diversi aspetti mi ha parlato di me. (sempre la solita egocentrica, perchè dovreste leggerlo voi se parla di me?)

Et voilà: Indovina con chi mi sposo di Alice Zeniter. Un testo breve, scritto in modo leggero nonostante tratti una tematica scottante e attualissima in Francia, dove è ambientato, ma anche in tutto il restante spazio della bandiera blu tempestata di stelline. Mi riferisco all'inasprimento delle politiche migratorie il quale va molto di moda, soprattutto tra noi cugini latini.
La giovane autrice narra abilmente la storia di due grandi amici, lei franco-algerina e lui del Mali. Amici per la pelle sin dall'infanzia decidono di sposarsi (matrimonio bianco) per evitare a lui le continue scocciature e l'assurdità -per una persona cresciuta in Francia- di dover lottare per un permesso di soggiorno. Alice, la protagonista femminile, parla in prima persona e racconta gli antefatti del matrimonio, le difficoltà, ma anche e soprattutto la storia della grande amicizia tra i due con sullo sfondo i temi del razzismo e dell'integrazione.

Senza mezzi termini: Bellissimo. L'ho divorato (e sai che novità!).

Ora che avete capito che veramente il libro mi ha interessato per il tema, oh curiosoni, vorrete sapere perchè parla di me. Tranquilli, non sto per sposare qualcuno per fargli ottenere la cittadinanza. Cosa, tra l'altro, che anche in Italia è diventata complicata.
Il libro parla di me per i miei interessi, ma anche perchè i protagonisti hanno più o meno la mia età. In alcuni punti mi ha ricordato cose che ho vissuto, come ad esempio le proteste contro la guerra in Iraq ai tempi del liceo. Loro si formano politicamente in quel periodo, e anche io. È da lì che viene tutto quello che ho in testa ora, con l'eccezione che adesso provo a dargli una forma. O almeno credo.

sabato 23 aprile 2011

Due motivi per Igiaba Scego

Vi parlerò molto spesso di libri, ma senza pretese di critica letteraria perchè sono modesta (e affermandolo do valore a questa affermazione!) e ammetto di non averne né le capacità né le conoscenze. Inoltre -diciamocela tutta- sono un'aspirante storica, razionale e pragmatica, che pensa solo ai fatti e alle loro fonti. Dunque la letteratura la considero un piacevolissimo svago e un'arte sublime, ma non qualcosa al quale voglio dare un serioso spazio nella mia vita.
Ed ora insultatemi, oh studiosi di letteratura.

Fatta questa inutile premessa (appronfondimento breve di quella del post del 15 novembre 2010), vi consiglio un libro che ho letto qualche mese fa, "La mia casa è dove sono" di Igiaba Scego.
Ve ne parlo principalmente per due motivi. Il primo è perchè l'ho letto in un batter d'occhio, il secondo è perchè il titolo è quanto di più vero io riesca a immaginare.

Un libro letto tutto d'un fiato è un amico che sarà sempre un buon vecchio amico; è una fugace storia d'amore indimenticabile. O semplicemente è un libro vero, uno di quelli che ti coinvolgono perchè riescono a toccare qualcosa che ti appartiene.
Molti libri sono riusciti a fare questo, non lo nego. Ma in questo caso dico grazie a Igiaba che con la sua storia di donna nata a Roma da genitori somali mi ha aiutato a mettere un altro piccolo tassello alla riflessione e conoscenza sulle seconde generazioni.

Passiamo al secondo motivo. Un titolo azzeccato, una frase nella quale credo ciecamente. Nasciamo in qualche posto, ma non necessariamente deve essere quella la nostra casa. La casa è dove siamo, dove abbiamo scelto di stare, dove dobbiamo avere l'opportunità di stare.

In conclusione aggiungo un terzo motivo. Si, prima l'ho occultato. Il terzo motivo è il finale di speranza, quasi una certezza, e che io condivido a pieno. Igiaba ora vive a Torpignattara, una Roma che confina con Pechino e Dhaka, come la definisce lei. E a questo proposito, nelle ultimissime pagine (oltre a dimostrare di aver imparato un po' di bengali) dice: Le mazze da cricket e i sari non sono altro che i segni di un futuro che non solo verrà, ma che è già qui da discreto tempo. Una futura Babele che io mi porto dentro da sempre.

Inchallah.

lunedì 15 novembre 2010

Scontri e Divorzi nella Roma di Amara (e nella mia)

Ogni tanto, tra quello che avrebbe potuto o poteva essere, ci sarà anche qualche sprazzo letterario. Proverò a recensire qualcosa, senza pretese.
Diciamo che vi terrò informati su quello che mi piace leggere.

Inizierò adesso.
In questo periodo mi trovo nel vortice dell'oriente, degli autori dell'immigrazione o di seconda generazione e simili. (prevedo un sorriso tra i lettori che mi conoscono e mi vedono quotidianamente. si, si. ridete. perchè voi e io sappiamo che non si tratta di un interesse solo letterario.)

Per illustrare questo piacevole vortice non posso che cominciare da Amara Lakhous. Algerino d'origine che vive a Roma dal 1995 (permanenza che dura praticamente dall'inizio del regno!), è a mio parere il più interessante ed originale tra gli autori immigrati; nonchè forse quello di maggior successo.
L'ho amato in Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio. è stato un libro che mi ha commosso, perchè mi ha raccontato realtà che vivo, e sentirsi narrare qualcosa di personale da altri fa sempre un certo effetto. Mi fa pensare a quante persone dovrebbero ascoltare questo racconto e capirlo, ma questo è quello che io penso dovrebbe essere. Un'altra volta.
Ma al di là di quello che può toccare intimamente il vissuto di ognuno, si tratta davvero di un'opera piacevole ed innovativa. Racconta un quartiere, un modo di vivere, la vita di quella fetta di immigrazione con molto realismo. Le aspettative dei migranti, le paure, i disagi, le reali condizioni, il rapporto con l'Italia e gli italiani; senza la retorica del "poverosenzaartenèparte".
C'è tutto, ci sono realismo e soprattutto conoscenza, perchè Amara dà l'impressione di esserci stato in quei posti. Di aver parlato con quella gente. Di aver respirato quell'aria.

E questo emerge anche dal suo secondo lavoro, Divorzio all'islamica a Viale Marconi. L'autore conferma di saperci fare con il tema, di padroneggiarlo. Questo è secondo me il suo punto forte, ma forse anche quello che potrebbe diventare un piccolo problema. A tratti Amara può apparire ripetitivo. Non noioso, questo mai, con in sottofondo il sapore di giallo e il racconto corale; ripetitivo solo perchè a tratti sembra voler portare Piazza Vittorio a Viale Marconi e con uno sforzo potremmo pensare che voglia calcare sul successo precedente. Ma certo, non voglio essere poco gentile con Amara, che mi ha fatto commuovere nuovamente, e vi dico come penso che realmente potrebbe essere: la spinta creativa dell'amico algerino sull'argomento non si è esaurita; ha ancora molto da dire sui nostri immigrati romani.

Lo spero. Non aggiungo altro, solo di leggerlo.