...e così diventammo invisibili (la voce del clandestino che ho dentro)

mi sveglio ogni mattina alle 5. vado a lavorare dove capita, dove hanno bisogno di me.

un giorno un banco al mercato, in una qualche periferia a me sconosciuta.

un giorno a distribuire volantini, camminando senza sosta per le vie del centro.

una sera in un ristorante di Via Veneto, in una cucina che non ha niente di signorile.

e, quando non c'è altro da fare vado da quei cinesi a Piazza Vittorio, riempio il mio zaino di ombrelli e spero che piova. No vabbè, non spero. Guardo le previsioni prima.

mi sveglio ogni mattina alle 5.

bevo un the frettolosamente, vado in bagno. beh, vado subito in bagno quando non c'è da fare la fila. altrimenti aspetto. in casa siamo sette, tutti compaesani. in due stanze. letti vicinissimi, valigia sotto il letto ancora piena e solo due mensole in un armadio.

esco. col freddo, col sole, col ramadan.

lavoro, lavoro, penso. faccio attenzione ai controlli. mi nascondo con discrezione se sento una sirena. ho imparato bene a riconoscere il suono di quella delle ambulanze. ho imparato che le luci di polizia e carabinieri sono quelle blu, quelle gialle sono dei carri attrezzi e non possono farmi niente. 

rientro, faccio una doccia, riesco. incontro degli amici, due chiacchiere con loro.

vado a telefonare a mia madre. domani le manderò dei soldi. mi manca. le manco.

cammino per la strada, qui senza paura. mi sono convinto che camminando a testa alta e senza pensare riesco a dare meno nell'occhio. 

saluto i miei amici. vado incontro a lei.

eh sì, perché in tutto questo c'è pure lei. vuole andare fuori questo fine settimana, ma ci andrà con i suoi amici. non posso accompagnarla, preferisco non pernottare in un hotel. Lì ti chiedono i documenti.

Torniamo a casa presto, domani mi sveglio alle 5.

Ricomincerà tutto, ma voi non mi vedrete.