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mercoledì 2 aprile 2014

L'insostenibile pesantezza del freelance

Freelance è una parola bellissima, etimologicamente parlando. Pensate che pare sia stata coniata da Sir Walter Scott, parlando di cavalieri.

Ma la sostanza è altro ed essere freelance fa schifo, senza mezzi termini. Non fraintendete, io sono una sostenitrice della mobilità, sarebbe il mio sogno. A me piacerebbe molto zompettare da un lavoro ad un altro, da un ambiente ad un altro, da colleghi ad altri, tra attività varie tra loro ma tutte ugualmente stimolanti. La mia essenza è questa: vivere di diversità e pluralità, fare molte cose per non annoiarmi mai. Ma c'è modo e modo.

Se sei freelance qui e adesso, devi accettare tutto, 'che mica è detto che sei sempre freelance, per la maggior parte del tempo sei disoccupato. E così ti ritrovi in contesti e ambienti non sempre ameni, dove l'ultimo arrivato è accolto in modalità random, a seconda dei rumori e degli umori.

Di solito il freelance è quello più giovane, più titolato ma meno esperto (non nel lavoro, attenzione, ma meno esperto di quell'ambiente) che viene o sfruttato o ignorato. Ultimamente a me è capitata soprattutto la seconda situazione: non vengo convocata alle riunioni, non vengo chiamata per iniziare il corso del quale sono l'unica insegnante (sìsì, avete capito bene, gli studenti erano tutti in classe, pronti ad iniziare, ma nessuno aveva chiamato me!), non mi si dice nulla di come dovrei impostare il mio lavoro, mi si prende anche a male parole -poi- perché "noi credevamo fosse scontato". E certo, io posso immaginare quali siano i vostri usi e costumi (che cambiano di anno in anno) in modo telepatico o perché qualche divinità mi appare in sogno con l'obiettivo di spiegarmi tutto. Scusate tanto, ma io spero che le divinità mi interpellino per altro.

Essere freelance fa schifo, perché mentre hai ferie lunghissime non volute, in periodi orrendi e con le tasche vuote e bucate, ti ritrovi a non poter avere neanche un giorno per una gita fuori porta, neanche un giorno per andare a fare una visita medica, quando in teoria avresti quei quattro soldi per fare entrambe. Per non parlare poi delle altre tutele, del welfare, dei sostegni alla disoccupazione. Il freelance non ha nulla. E voi non sapete quanto mi piacerebbe avere l'assegno di disoccupazione, ma io ce l'ho scritto in fronte "lavoro occasionale". Quindi niente, basta, sono un mezzo evasore senza tutele.

Essere freelance fa schifo, perché devi sopravvivere al fianco di persone in odor di pensione, grasse, sedute e immobili, che si permettono anche di darti consigli su come portare avanti la tua vita e fare anche commenti. "Ma qualche supplenza nelle scuole pubbliche?", "Ma prova ad aprirti un'assicurazione sulla vita", "Non hai la macchina?!". No, non potete. Non potete perché non sapete niente di me, non potete perché è anche colpa vostra se io sto così e i vostri lipidi cerebrali continuano ancora a farmi solo del male.

Essere freelance a Roma è insostenibile, con o senza automobile. Unica nota positiva, sto leggendo romanzi su romanzi, sfruttando scioperi dei mezzi pubblici, ritardi dei treni e per cercare di non ascoltare il qualunquismo imperante delle chiacchiere altrui.

Essere freelance farebbe veramente schifo se non avessi un infinito amore per quello che faccio, se non avessi gli studenti (alcuni dei quali si preoccupano veramente e attivamente per me ed io non so come ringraziarli) e se non avessi ancora attacchi di entusiasmo e di ottimismo, come oggi - anche se non sembra.


lunedì 6 maggio 2013

La festa della mamma

A maggio si festeggia la festa della mamma. Non mi chiedete in quale giorno, perché non lo so. è peggio della Pasqua, so sempre e solo che cadono entrambe di domenica.

Anche se la mia mamma non leggerà, vorrei omaggiarla a modo mio. Lei, come tutte le altre mamme come lei.
Le mamme della sua generazione hanno un grande peso, quello di vedere la vita dei loro figli scorrere in maniera molto meno lineare e più problematica della propria. Non dico che le loro vite siano state facili, tutt'altro. Dico che loro avevano qualche speranza e che, quasi tutte quelle che hanno potuto e voluto, sono riuscite a migliorare la loro situazione e di molto. è migliorata la loro condizione in quanto donne, in quanto giovani, in quanto creatrici di famiglie, in quanto lavoratrici.
Mia madre viene da una famiglia poverissima dove analfabetismo e sfruttamento del lavoro erano la norma. Questa norma non è mai stata nascosta a me e a mio fratello, che oggi, dall'alto dei nostri 110 e lode, guardiamo tutto con quella criticità dei novelli intellettuali, dei figli del proletariato che ce l'hanno fatta, forse in ritardo di almeno una generazione rispetto al mondo.

è di quelli come noi che vorrei parlare, e delle rispettive mamme. Benché si faccia un gran parlare di fughe di cervelli e di laureati spazzini a me sembra e vedo attorno a me sempre la medesima retorica. Nei media la mamma da talk show è la madre che urla e si dispera perché vuole un aiuto dallo stato (lecito, ma...) per il figlio disoccupato. Figlio choosy, in molti casi. Sarò impopolare ma io, che momentaneamente non ho un lavoro fisso e faccio parte della delusa generazione Erasmus, in quelle immagini non vedo né me né mia madre.
Non vedo la dignità di mia madre che mi consola nei momenti di sconforto e che non urla, ma è orgogliosa di tutto quello che faccio con le mie forze e mi spinge solo a fare di più, come artefice del mio destino.

In questi giorni mi ha detto delle frasi che mi hanno fatto pensare. Mi ha detto che è contenta che mio fratello e io siamo così, e che non abbiamo paura di ripreparare ogni volta quella valigia, anche se - in caso - preferirebbe Parigi e Berlino a Toronto e Sidney.

Forse è solita attenuare i nostri comportamenti perché sa che è la storia della sua famiglia ad averci iniettato il seme del viaggio, la facilità di parlarne e di fare progetti. Non lo dice mai esplicitamente di conoscere l'origine, ma mi è sembrato che lo abbia fatto, qualche mattina fa, quando mi ha ricordato che è la seconda volta, dopo il bisnonno Ambrogio, che qualcuno parte per New York.






A mia madre
De Amicis
Non sempre il tempo la beltà cancella
o la sfioran le lacrime e gli affanni
mia madre ha sessant’anni e più la guardo
e più mi sembra bella.
Non ha un accento, un guardo, un riso
che non mi tocchi dolcemente il cuore.
Ah se fossi pittore, farei tutta la vita
il suo ritratto.
Vorrei ritrarla quando inchina il viso
perch’io le baci la sua treccia bianca
e quando inferma e stanca,
nasconde il suo dolor sotto un sorriso.
Ah se fosse un mio prego in cielo accolto
non chiederei al gran pittore d’Urbino
il pennello divino per coronar di gloria
il suo bel volto.
Vorrei poter cangiar vita con vita,
darle tutto il vigor degli anni miei
Vorrei veder me vecchio e lei…
dal sacrificio mio ringiovanita!


domenica 18 novembre 2012

Finirà il precariato e quel giorno sarà pieno di stelle. Anche a Roma.

Doveva accadere prima o poi. Ho aperto proprio stamane l'ultima inutile comunicazione cartacea relativa all'ultimo versamento che la mia università ha fatto sul mio conto. Tre anni sono passati, è finita.
La tesi non è finita affatto, ma ufficialmente io non sono più sotto la protezione economica di Tor Vergata.

Un po' fortuitamente e un po' meno ho trovato già da qualche mese una piccola entrata per le mie tasche. Ma ciò non mi soddisfa - ed è alquanto precario- quindi mi barcameno nel limbo dei senza lavoro, dei precari, dei ricercatori di una fonte di sostentamento.

Ogni mattina, dunque, accendo speranzosa il mio cellulare, forte delle decine (quasi centinaia) di curricula inviati. Faccio il trionfale ingresso nel mio account gmail, sperando in una finalmente scoperta della comunicazione in rete da parte dei datori di lavoro. Ma nulla. Il mio telefono squilla solo grazie ai miei dolci essere umani del cuore e a volte alla Vodafone, che vuole assolutamente farmi tornare tra le sue braccia. Ma i miei essere umani del cuore ed io abbiamo quasi tutti Wind, ed aver creato questa setta/casta/gruppo informale ci conviene molto. Quindi per ora non se ne parla, cara Vodafone.

Mentre aspetto chiamate e leggo notizie da questo triste mondo malato, mi connetto sui vari siti con annunci di lavoro. In questi ultimi mesi le offerte più interessanti sono state quella di un ristorante giapponese che cercava una ragazza di "bellissima presenza" (quindi personalmente ne ero già fuori) per lavorare come modella di body sushi. L'impiego consisteva nel restare immobile, in bella mostra e in bikini, ricoperta di sushi e farsi mangiare addosso. Un altra imperdibile occasione che ho voluto perdere, è stata quella di un brand di gelati che offriva un buono di benzina di 5 euro per un'indagine di mercato. Occorreva assaggiare gelati, rispondere a un questionario e tornare a casa, presumibilmente utilizzando quei 5 euro di rifornimento.

Non voglio essere troppo pessimista, ho anche quasi ottenuto un lavoro come insegnante di italiano a stranieri (che poi è quello che faccio ora e spero di continuare a fare). Un bellissimo colloquio telefonico, ma poi mi è stato preferito un insegnante per il semplice fatto che abitava più vicino alla sede del corso.

Dovete anche sapere che questi siti offrono sì un servizio, ma non sempre limpido e cristallino. Ci sono dei normalissimi annunci nei quali appaiono un'offerta di lavoro e un numero di cellulare, quasi come se fosse stato un privato cittadino ad averlo scritto. E invece no, voi chiamate e vi risponde una loschissima persona che vi dice: "Noi siamo un'agenzia, se mi dà trenta euro l'aiuteremo a cercare lavoro". Che cosa? E il nome dell'agenzia, e -magari- dire nell'annuncio che si tratta di un'agenzia, come fanno le società serie e realmente esistenti?