sabato 23 aprile 2011

Due motivi per Igiaba Scego

Vi parlerò molto spesso di libri, ma senza pretese di critica letteraria perchè sono modesta (e affermandolo do valore a questa affermazione!) e ammetto di non averne né le capacità né le conoscenze. Inoltre -diciamocela tutta- sono un'aspirante storica, razionale e pragmatica, che pensa solo ai fatti e alle loro fonti. Dunque la letteratura la considero un piacevolissimo svago e un'arte sublime, ma non qualcosa al quale voglio dare un serioso spazio nella mia vita.
Ed ora insultatemi, oh studiosi di letteratura.

Fatta questa inutile premessa (appronfondimento breve di quella del post del 15 novembre 2010), vi consiglio un libro che ho letto qualche mese fa, "La mia casa è dove sono" di Igiaba Scego.
Ve ne parlo principalmente per due motivi. Il primo è perchè l'ho letto in un batter d'occhio, il secondo è perchè il titolo è quanto di più vero io riesca a immaginare.

Un libro letto tutto d'un fiato è un amico che sarà sempre un buon vecchio amico; è una fugace storia d'amore indimenticabile. O semplicemente è un libro vero, uno di quelli che ti coinvolgono perchè riescono a toccare qualcosa che ti appartiene.
Molti libri sono riusciti a fare questo, non lo nego. Ma in questo caso dico grazie a Igiaba che con la sua storia di donna nata a Roma da genitori somali mi ha aiutato a mettere un altro piccolo tassello alla riflessione e conoscenza sulle seconde generazioni.

Passiamo al secondo motivo. Un titolo azzeccato, una frase nella quale credo ciecamente. Nasciamo in qualche posto, ma non necessariamente deve essere quella la nostra casa. La casa è dove siamo, dove abbiamo scelto di stare, dove dobbiamo avere l'opportunità di stare.

In conclusione aggiungo un terzo motivo. Si, prima l'ho occultato. Il terzo motivo è il finale di speranza, quasi una certezza, e che io condivido a pieno. Igiaba ora vive a Torpignattara, una Roma che confina con Pechino e Dhaka, come la definisce lei. E a questo proposito, nelle ultimissime pagine (oltre a dimostrare di aver imparato un po' di bengali) dice: Le mazze da cricket e i sari non sono altro che i segni di un futuro che non solo verrà, ma che è già qui da discreto tempo. Una futura Babele che io mi porto dentro da sempre.

Inchallah.

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