giovedì 9 ottobre 2014

La cronaca nera nel mio Paese: racconti di ordinaria idiozia e esibizionismo

Nel mio paese se sei una persona colta, se sei un professionista serio, se sei un onesto lavoratore non hai quasi mai diritto di parola.
La maggior parte delle volte che si esprime un'opinione ci si sente rispondere "Ma che ne sai tu...", "Io te lo posso dire..." e altre frasi fastidiose da far rivoltare le vittime di tutte le guerre e genocidi del Novecento. Sapete, pare sia stato un secolo molto violento. Pare però, nessuno lo sa bene, perché la storia pure comincia ad essere un po' fuori moda, meglio Giacobbo.

Questo però succede solo alle persone preparate, competenti in qualcosa, che sanno quello che dicono e soprattutto che lo vogliono esprimere in modo educato, pacato e - udite udite- costruttivo. Ma le costruzioni migliori qui da noi le hanno fatte gli antichi romani, è roba vecchia. Noi non ne siamo più avvezzi.

Quando invece sei un avanzo di galera, un incompetente, un raccomandato, un figlio di (interpretate questa espressione in entrambe le accezioni, please), puoi dire tutto quello che vuoi. Berlusconi fa ancora politica, Di Maio è un deputato, Giletti conduce un talk show e così via.

Negli ultimi mesi c'è però una nuova moda. Puoi parlare e dire qualunque cosa, possibilmente di cattivissimo gusto, se un tuo parente molto prossimo è indagato per reati orrendi. Per carità, possiamo capire il dolore di un genitore che ha un figlio indagato per omicidio, per violenze ecc, ma possiamo capire anche che quella è una buona occasione per rifugiarsi nel silenzio e nell'anonimato. E invece no. Perché in Italia hanno tutti diritto di parola, tutti si sentono in dovere di esternare le più grandi idiozie, nella totale mancanza di rispetto per le vittime. D'altronde apparire in tv è bello, in qualunque modo lo si faccia.

Ho belli pronti tre esempi di questo costume. Con questi tre esempi vi farò fare un giro nel mio Belpaese: Stato Pontificio, Padanìa, Regno delle Due Sicilie.
Partiamo da casa mia. Anzi non proprio, perché io ai Parioli ci sarò andata una volta per sbaglio e sono anche fiera di ciò.

In questo video potete osservare l'elegantissima sorella di Mirko Ieni, colui che gestiva i traffici delle due ragazzine che venivano fatte prostituire nella Roma Bene. La signora nei mesi caldi dello scandalo se ne andava in giro a difendere il fratellino, a tesserne le lodi e a raccontare che erano le ragazzine a cercarlo.Forse ci è andata bene, ci sarebbe potuta capitare Alessandra Mussolini a difendere il marito, cliente delle bambine. Ma pensate un po', ha avuto buon gusto e ha provato vergogna addirittura lei.

Ma chi se ne frega. Quel gran bravo ragazzo di Mirko ora è in galera, questo mi basta.

Ma c'è chi ha osato di più, difendendo il figlio, se stessa e mettendo in discussione l'operato della scienza. Vi sto facendo conoscere un'altra mia illustre connazionale, la madre di Bossetti. L'uomo è accusato di aver ucciso Yara Gambirasio, un crimine terribile. Ma non è di questo che voglio parlare. Qui la situazione è molto complessa. Non solo la donna poteva tacere per il bene suo e di tutti, ma al limite, guardate, le avrei concesso il piagnisteo sul figlio innocente. Invece no. è riuscita a scagliarsi contro la scienza. Questo è possibile solo nel paese delle scie kimike e degli animalisti onnipresenti. Questo è possibile solo da noi, dove se sei laureato ti tirano le pietre e alla formazione e alla verifica delle affermazioni con dati e concetti abbiamo preferito le urla sterili di proteste infondate, l'arrangiarsi e l'essere furbi a tutti i costi.

Oggi poi, la ciliegina sulla torta ce la offre Napoli. Una delle città più belle del mondo. Ce l'abbiamo noi, sì, nonostante tutto. Tre 24enni seviziano un ragazzino di 14 anni- Lo fanno perché è grasso e a loro sembra divertente, sembra uno scherzo. Ma non solo a loro. Le famiglie infatti li difendono. Un'altra ottima occasione per tacere. Per la disgrazia loro ma anche e soprattutto per quella delle vittime.
E anche per la nostra, che è quella di doverli stare a sentire e vergognarci di avere lo stesso passaporto.



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