mercoledì 7 gennaio 2015

Napul'era, poi è arrivata Paris

Di solito funziona così quando scrivo: mi viene in mente un'idea, ci fantastico un po' su mentre mi faccio la doccia, mentre guido, quando non riesco a prendere sonno. Dopo qualche giorno, dopo aver creato mentalmente frasi che lì per lì mi sembrano degne del Nobel, accendo il computer e poso le mani sulla tastiera. Inizio a scrivere, ma quello che di solito poi appare ai lettori è sicuramente tutt'altro rispetto ai miei sogni di gloria. Ma per quale motivo? In parte perché le possibili cause del Nobel sarebbe meglio pubblicarle sul caro vecchio mezzo cartaceo, confezionato da editore blasonato e che non mi chieda soldi. In parte perché le dimentico.

è dunque quasi sempre merito mio se vi privo di tanta gioia per le vostre menti e i vostri occhi. Sì, avete letto bene, quelle due fessure appena sotto la fronte vi funzionano ancora. Le belle parole, la bella letteratura, le belle poesie sono anche per gli occhi. Me ne rendo conto sempre, quando leggo un buon libro e i miei occhi scorrono veloci e infaticabili, compiaciuti, innamorati e appagati. Perché le parole ben congegnate suonano bene su carta, sono armoniche, formano quasi un'opera figurativa quando si susseguono l'un l'altra. e, tutte insieme, diventano belle.

è quasi sempre colpa mia, dicevo, oggi invece è colpa dell'Isis. Tanto sono abituati a prendersi le colpe, no? Io avrei voluto scrivere un post eclatante, con l'obiettivo di stupirvi. Uno di quelli che una vera romana non dovrebbe scrivere mai. Ieri, mentre guidavo di sera, tornando a casa, ho mentalmente elaborato e scritto frasi degne del Nobel e del Pulitzer unanimi, tutte nella mia dichiarazione d'amore per Napoli. Ma il terrorismo mi ha interrotto.

Ma partiamo dall'inizio. Per 30 anni e qualche mese, vale a dire dal giorno della mia nascita fino ad agosto 2014 non avevo mai messo piede a Napoli. A dire il vero in Campania tutta, se non come via obbligata di passaggio verso i mari del Sud. Poi ad agosto ci sono andata, mi sono innamorata e sono dovuta tornare a dicembre, perché mi mancava. L'infatuazione si era fatta subito cotta e non potevo più fare a meno di quell'aria decadente, dei panorami stupendi ma non scontati, delle viuzze e dei cambi repentini di prospettiva. Una bellezza sconvolgente e triste, malinconica e quasi levantina mi riappariva alla mente e mi richiamava. Pezzi di storia incastonati ora come gemme, ora come onte. Noncuranza e orgoglio. Indifferenza e poesia. Il tutto senza la pizza, il caffè, la canzonetta, la munnezz'.

Ogni città lascia il suo segno, la sua cicatrice onirica. New York è la mia cicatrice di speranza, Napoli quella di reale decadenza.




Questo è tutto quello che avrei voluto dire, anche prima della morte di Pino Daniele, ma soprattutto prima dell'attacco terroristico a Parigi. La mia terza cicatrice, quella più profonda. L'amore per una città mi si è sovrapposto all'amore per l'altra, a quella che ho vissuto e ricordo con sentimenti contrastanti, ma nella quale mi sento e mi sentirò sempre a casa. Di quale città sto parlando? Mentre scrivo mi confondo e non me lo ricordo neanche io.


1 commento:

  1. Avendo visitato Parigi ed essendo cresciuto fra provincia di Latina e provincia di Napoli, in terra di frontiera, andando a scuola nell'ex Regno delle Due Sicilie, ed amando un'altra terra di frontiera che la poetessa Sara non menziona qui, non posso che apprezzare le parole della poetessa Sara, discendente ideale di alcuni Rossetti del passato.

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