venerdì 11 maggio 2012

Diario di una maestra: Gli inni nazionali

Ieri a fine lezione ho chiesto ai miei studenti di accennare qualche nota del loro inno nazionale.
Agli iniziali tentennamenti è succeduta una voglia di cantare, raccontare, condividere.

Il gruppo di studenti d'ingegneria civile proveniente dall'Afganistan ha aperto le esibizioni, visto che erano in cinque (la rappresentanza più folta) gli è stata data la precedenza al fine di togliere un po' a tutti l'imbarazzo. Hanno parlottato un po' e poi, inaspettatamente, uno di loro si è alzato in piedi ed ha intonato la prima strofa. Tutti l'hanno applaudito. In un italiano stentato, misto all'inglese ed al francese, il "cantante" e si suoi connazionali ci hanno tenuto a far sapere a tutti i presenti che si trattava del nuovo inno, post talebani e post guerra, in lingua pashtun. Lingua che orgogliosamente, già a inizio lezione, avevano indicato come idioma materno dell'intero gruppo.

I secondi a cantare sono stati i giovanissimi ragazzi del Bangladesh, che senza esitare neanche per un secondo hanno intonato in coro "Amar sonar Bangla", quasi sussurrando. Ma avrebbero cantato tutta l'opera di Tagore se non li avessi fermati. Il fresco nazionalismo bangladese si manifesta spesso, nelle piccole grandi cose.

Dopo di loro avrebbero dovuto esibirsi due donne e un ragazzo originari della Cina. Ma non riuscivano a mettersi d'accordo sulla canzone da proporre ed hanno preso tempo, mentre due uomini del Marocco già scalpitavano. Il più giovane dei due si è alzato in piedi ed ha intonato un'allegro motivetto, mentre l'altro gli faceva sotto i coretti (che avevano per protagonista Allah, questo almeno l'ho capito!). Sono stati veramente bravi, sembrava quasi si fossero già preparati. Erano contenti, e appena finito di cantare volevano tradurre il testo. Ahimè non c'era tempo, e allora l'hanno così riassunto: "questo è perché Allah ci aiuta".

La Cina era a quel punto pronta. La donna più abile in lingua italiana mi ha subito detto che stavano per cantare la canzone più "importante" ma che ce ne sarebbero state altre che a loro sarebbe piaciuto farci ascoltare. Fatto sta, l'elemento maschile del trittico ha cantato, sorridente, mentre le due donne (più grandi di lui) lo guardavano ed io ho avuto la netta impressione che volessero controllarne l'operato.

In ultimo un ragazzo della Guinea ha intonato un assolo in wolof.  Una voce splendida, una tonalità dolce e delicata che ha accompagnato con un sorriso, in ascesa dall'inizio alla fine del motivo. Tutti sono rimasti stupiti dalla bellezza della sua voce. Ho notato un certo imbarazzo nell'applaudire, credo sia sembrato riduttivo. Più efficaci le parole, un susseguirsi di complimenti: "Bravo fratello".

La lezione era a quel punto finita. Gli afgani avrebbero voluto cantare ancora delle canzoni popolari delle loro montagne. La prossima volta. Non mancherò di ascoltarvi ancora.

3 commenti:

  1. complimenti per la classe che hai!!!
    se ti capita di sentire l'inno sudanese, cerhi di ascoltare SOLTANTO la musica e non le parole, perché, il sudan è un paese con molte religioni e l'inno a parte che non debba essere religioso è fatto solo da una religione e non mi sembra per niente è giusto!

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  2. l'articolo è apparso su Yalla Italia, il Blog delle seconde generazioni, lo scorso 14 maggio.

    potete visionarlo qui
    http://www.yallaitalia.it/2012/05/diario-di-una-maestra-gli-inni-nazionali/

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